In questi giorni il tradizionale dibattito lavoristico italiano ha considerato una sconfitta per i diritti dei lavoratori da piattaforma digitale la sentenza con cui il tribunale di Torino ha confermato trattarsi di prestazioni autonome e non di lavoro subordinato. Determinante si è probabilmente rivelata la constatazione della possibilità per il lavoratore di rifiutare la chiamata.
È la caratteristica di molte attività inquadrabili nella cosiddetta gig economy, perché coniugano le esigenze di flessibilità della piattaforma con quelle di prestatori che hanno un impegno principale nello studio o in un altro rapporto di lavoro più strutturato. D'altronde, può essere un bene che questi lavori rimangano «secondi», ovvero complemento di altri redditi e non illusione di una adeguata fonte primaria di sostentamento. Ciò non significa, tuttavia, trascurare diritti fondamentali come l'equo compenso o la prevenzione e la tutela di infortuni e malattie. Lavoro dipendente e lavoro indipendente tendono a confondersi nei nuovi modelli organizzativi indotti dalla rivoluzione tecnologica.
Tutti i lavori si realizzano e si remunerano sempre più per risultati, mentre si allenta progressivamente il vincolo spazio-temporale. Ma tutti i lavori assumono fragilità che meritano tutele. Ciò significa adeguare norme di legge e contrattazione con uno spiccato privilegio per la fonte duttile e velocemente adattabile del contratto. Tocca alla legge consolidare il quadro dei diritti essenziali e inderogabili come l'adattamento di alcune disposizioni sulla sicurezza o un compenso minimo. Non orario, ma correlato alla singola prestazione, per i lavoratori autonomi.
Tocca alla contrattazione, promossa anche da associazioni o cooperative dei prestatori indipendenti, definire retribuzioni adeguate, modalità efficaci di tutela della salute come una periodica sorveglianza sanitaria di tipo integrale, benefit rivolti a ridurre i costi di attività o a migliorare la qualità della vita.
Oltre l'ideologia della supremazia della subordinazione, dobbiamo muovere da un principio di realtà, incoraggiare e apprezzare tutti i lavori, offrire ad essi poche e fondamentali regole non negoziabili, premiare fiscalmente i buoni accordi che le parti realizzano in prossimità, guardandosi negli occhi e costruendo percorsi condivisi. Anche la persistente piaga del lavoro sommerso in un'Italia così duale, ne risulterebbe più facilmente contrastata.
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