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Il Colle, le Foibe, Napolitano e l'ipocrisia rossa

Compagni che sbagliano

Il Colle, le Foibe, Napolitano e l'ipocrisia rossa

Attenti a cantar vittoria troppo presto, perché il trinariciuto è sempre in agguato. Ed è ancor più pericoloso sotto le mentite spoglie di chi ha tumulato il Pci, dilavandone le spoglie nel Pd, ma conservando nel Dna le tracce del comunismo, l'ideologia responsabile del maggior numero di morti nella storia.

E allora bene, anzi benissimo che il Giorno del Ricordo sia stato per la prima volta celebrato con tutto il risalto istituzionale che merita. Male che per questo sia stata necessaria una legge dello Stato e siano passati molti anni da quel 30 marzo del 2004 in cui è stata promulgata, perché i trinariciuti si vedessero costretti a rendere (obtorto collo) il dovuto onore a donne e uomini stuprati. Nel corpo e soprattutto nella dignità di esseri umani. Ottimo il discorso del presidente Sergio Mattarella che ha finalmente urlato al mondo che quella gente non fu ammazzata perché fascista, ma soltanto perché era italiana. E orgogliosamente italiana. Meno buono che dovendo ringraziare un suo predecessore, non abbia scelto Carlo Azeglio Ciampi che diede grande impulso al riconoscimento di quell'orrore o Silvio Berlusconi sotto il cui governo quella data fu fissata, ma il rosso Giorgio Napolitano. Quello a cui piacevano i carri armati sovietici che entravano a Budapest, che dedicò la vita a cantare le magnifiche sorti e progressive portate dall'Unione sovietica comunista nel mondo e che aspettò un'età più che matura e la salita al Colle per pronunciare qualche parola sugli italiani infoibati e i 300mila esuli costretti a lasciare le proprie case in Istria e Dalmazia.

Così come è male, molto male che proprio in corrispondenza di una piena celebrazione del Giorno del Ricordo, mai come quest'anno sia cresciuta a dismisura la richiesta di convegni negazionisti per sostenere che quei poveri martiri un po' se l'erano cercata. E ad aumentare l'orrore c'è che tali obbrobri non sono arrivati solo da invasati che davanti alle scuole di Milano hanno distribuito volantini con scritto «Infoibiamo la merda fascista» che «dipinge il popolo italiano come vittima di un'agguerrita pulizia etnica che non è mai esistita», ma anche dall'Anpi, l'associazione dei partigiani che vive grazie alle nostre tasse e cose come queste se le potrebbe (e dovrebbe) risparmiare. Ma grave è anche il post messo ieri sui social dal gruppo Pd in Regione Lombardia. «Oggi ricordiamo gli uomini e le donne infoibate perché l'orrore della tragedia delle foibe non si ripeta più». E fin qui poteva essere una toppa retorica messa dopo la denuncia del Giornale di un loro consigliere di Municipio che voleva impedire la proiezione del film «Rosso Istria» sulla tragedia di Norma Cossetto, uccisa da partigiani jugoslavi e italiani nel 1943 nei pressi della foiba di Villa Surani. Il grave sta nel resto. «La memoria non ha colore politico e le vittime non hanno bandiere». Eh no, cari trinariciuti del Pd. Il colore degli infoibatori è ben chiaro: è il rosso dei feroci titini, responsabili della pulizia etnica e di molti partigiani rossi che uccisero fascisti, ma anche partigiani bianchi, preti, donne e ragazzini. Lo stesso rosso del Pci di Enrico Berlinguer e Massimo D'Alema. E il rosso di Giorgio Napolitano, come rosse erano le bandiere del sindacato e del Pci che alla stazione di Bologna presero a sassate e sputi il treno che nel febbraio del 1947 trasportava gli esuli del quarto convoglio marittimo di Pola, buttando sulle rotaie il latte destinato ai bambini in grave stato di disidratazione e il loro cibo nella spazzatura. Come di sinistra sono le giunte che hanno fatto passare anni prima che Milano potesse erigere (e ancora non è stato eretto) un monumento ai martiri.

Mentre le vittime, cari compagni trinariciuti del Pd, erano uomini e donne di grande coraggio che una bandiera l'avevano: quel Tricolore impugnato di fronte alla barbarie comunista e alle torture dei partigiani italiani e titini. Un vessillo sacro, tenuto sempre alto. Anche a prezzo della vita.

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