Lo strappo è senza precedenti, al punto che chi in queste ore ha avuto occasione di parlare con Sergio Mattarella non esclude «strascichi imprevedibili». Dire che il capo dello Stato non abbia gradito il blitz di Matteo Renzi su Bankitalia è infatti un garbato eufemismo, tanto che martedì scorso l'inquilino del Quirinale è stato a un passo dal mettere nero su bianco la sua contrarietà in una nota ufficiale. Solo per ragioni di opportunità istituzionale, alla fine ha deciso di limitarsi a far filtrare il suo disappunto all'agenzia Reuters, poi ripresa da tutte le testate nazionali.
Sono passate 48 ore e il clima al Quirinale non sembra essersi affatto rasserenato. La sortita del segretario del Pd, infatti, continua a essere considerata sul Colle come il «capriccio di un bambino tanto viziato quanto irresponsabile» che ha il duplice obiettivo di cavalcare una campagna elettorale che faccia il verso al populismo dei Cinque stelle e allo stesso tempo ridimensionare un Paolo Gentiloni che in questi dieci mesi a Palazzo Chigi si è conquistato un'aura di affidabilità. Due propositi che il Colle non ha intenzione di avallare, anzi. Ecco perché c'è chi non esclude che ora Mattarella possa mettere in discussione quel via libera informale che aveva dato a Renzi sulla data delle elezioni. Nei giorni in cui il Quirinale è stato messo al corrente dell' intesa sul Rosatellum bis dando il via libera alla fiducia, uno dei temi sul tavolo è stato anche la data del voto. Renzi, infatti, ha una certa fretta, dovuta alla quasi sicura débâcle alle elezioni regionali siciliane del 5 novembre. Il candidato del Pd (e di Angelino Alfano) Fabrizio Micari, è infatti dato tra il 16 e il 18%, addirittura al terzo posto dopo Nello Musumeci (centrodestra) e Giancarlo Cancelleri (M5s). Dopo lo schiaffo del referendum dello scorso 4 dicembre, se i sondaggi fossero confermati nelle urne per Renzi sarebbe un vero e proprio terremoto. Uno scenario nel quale solo l'imminenza delle elezioni politiche può evitare che nel Pd si arrivi al redde rationem, soprattutto quando ci saranno da decidere le liste elettorali. Con lo scioglimento delle Camere a fine gennaio e il voto il 4 marzo - questa sarebbe la data su cui il Colle avrebbe già dato il suo placet - è infatti difficile che tra i dem si vada a una resa dei conti interna. Ma sciogliere Camera e Senato è prerogativa del capo dello Stato che potrebbe anche prendersela con più calma, addirittura facendo slittare il voto fino al 24 maggio (il Parlamento può restare in carica fino al 15 marzo e, recita la Costituzione, le elezioni devono aver luogo «entro 70 giorni» da quella data). Quasi certamente non si andrà così avanti, ma al Quirinale ora c'è chi sta suggerendo a Mattarella di non avere comunque troppa fretta e lasciare Renzi al suo destino, qualunque sia.
Che il voto slitti oltre il 4 marzo, insomma, adesso è un'eventualità possibile. E più si allontanano le urne, più nel Pd ci sarà chi, all'indomani della quasi certa batosta siciliana, invocherà un ridimensionamento del segretario.
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