Dal comico al tragico: Giuseppi è peggio di Beppe

Grillo non è uno statista ma ha avuto una intuizione, l'avvocato pugliese invece cambia idea a seconda delle convenienze

Dal comico al tragico: Giuseppi è peggio di Beppe

È pur sempre un comico. E quindi la butterà sul ridere anche in questa circostanza. Ma l'uscita di scena di Grillo da quel che resta del Movimento 5 stelle a me fa un tantino piangere. Non assisteremo più alle sue baldanzose intemerate.

E avremo a che fare con quell'avvocatino pugliese che da qualche anno ammorba la scena politica italiana facendo credere al mondo di essere un genio. Giuseppe Conte solo a sentire il nome mi tremano le gambe. Figlio di un segretario comunale e di una maestra elementare, è andato parecchio al di là di quel che prometteva la sua laurea in giurisprudenza con lode. Ha raccolto l'eredità del grillismo e ne ha fatto carta straccia. Non che Grillo fosse uno statista da imprese memorabili ma, in quel suo mandare a fanculo i politici corrotti ed esigere che alzassero le terga dalla poltrona all'ora del crepuscolo e con la nebbiolina fine di certi film americani (mi pare dicesse proprio così), aveva avuto una certa intuizione rispetto al sentire popolare.

Un vero talento sin dai tempi in cui predicava nei cabaret milanesi contro i detersivi e la tecnologia e il Baudone nazionale lo lanciava sulla scena televisiva imponendogli soltanto di cambiare quel suo nomignolo strano «Giuse» in «Beppe». Da lì è stato un crescendo.

Erano i giorni del vaffa day e diceva Beppone «è come un virus, ha iniziato a diffondersi e non si fermerà». Aveva ragione lui: il virus si è propagato, è diventato primo partito alle politiche del 2013 e ha vinto le elezioni nel 2018, poi è entrato nel giro di boa che tocca a tanti partiti, la crisi, l'impoverimento dei principi originari, quello stato di agonia vicino all'estinzione (ha dimezzato le preferenze persino a Bologna dove tutto è cominciato), e alla fine ha inghiottito il grillo canterino. Non mi stupisce.

È tipica dei figli l'ingratitudine. Immaginarsi se il figlio è una creatura politica che poi ha fatto tante cazzate, dal super bonus al reddito di cittadinanza elargito ai poveri e pure ai ricchi con la Porsche parcheggiata nel garage Per non dire dei personaggi che ha sfornato negli anni il grillismo: dal Di Maio inconsistente e allergico ai congiuntivi a quel rivoluzionario mai cresciuto del Diba (Di Battista) fino alla sindaca grillina Virginia Raggi che doveva risolvere tutti i problemi di Roma e riuscì solo a dire di no alle Olimpiadi. Grillo, si intende, ci ha messo del suo per arrivare a questa fine tragicomica. Sfilandosi dalla scena, ritagliandosi il ruolo da regista occulto e poi forse imponendo qualche scelta dall'alto. Ma cosa più grave, quando si è palesato alla sua porta l'azzeccagarbugli impomatato con il fazzoletto nel taschino e il profilo di un modesto Cyrano de Bergerac, ha probabilmente sottovalutato l'ambizione e la sete di potere dell'uomo.

Che non ci sia da fidarsi di Conte è fuori di dubbio. Ne abbiamo avuto un assaggio prepotente ai tempi della pandemia. I suoi bollettini mortuari, dispensati all'ora della cena, erano uno stillicidio quotidiano al pari di quel morbo opprimente. E la facilità con cui ci metteva a tacere a suon di dpcm chiudendoci nelle case e imponendoci il silenzio, una pratica tiranna. «Stiamo lontani oggi per abbracciarci più forte domani», è frase sua e aveva la forza di un valium distillato nell'ora della tenzone. Ma la cosa che più trovo stucchevole di Conte è il cambiare idea tanto facilmente o adattarla a seconda delle convenienze. Oddio, non che la cosa mi sorprenda più di tanto. Alla mia nobile età posso dire di aver conosciuto poche persone che non mutino parere dal sorgere del sole al desco della sera, ma in politica un po' di coerenza andrebbe dimostrata. Invece Conte è l'uomo delle rivoluzioni, almeno verbali. A braccetto con Salvini quando erano insieme al governo e poi oggi non ci berrebbe neppure un caffè. Orgoglioso della nomea di populista («essendo il popolo la somma degli azionisti che sostengono questo governo» disse da presidente del Consiglio) ma anche progressista convinto davanti alla platea della festa dell'Unità. Sfuggevole alle domande: Macron o le Pen? «rappresento un partito italiano», allora ci dica di Trump, lui o la Harris? «giudicheremo la prossima presidenza sui fatti».

Capito il genere? Sosteneva l'autonomia quand'era al governo («Una riforma che farà bene a voi e all'Italia», profetizzava ai governatori di Veneto e Lombardia) e oggi la ritiene «un disegno scellerato». Grillo lo definiva piuttosto argutamente: «Conte parlava e si capiva poco, dunque era perfetto per la politica». Però quel suo non parlare o parlare da predicatore stanco lo ha portato prima a tagliare la consulenza di Grillo e poi a farlo fuori definitivamente alla Consulta di ieri seppure in modo democratico (o democristiano) si intenda, con la solita votazione on line degli elettori pentastellati. Pensare che il premier dell'era Covid è diventato presidente del partito con un voto cui ha partecipato solo il 45% degli aventi diritto. Giravolte. O ritorsioni della storia. Ora ce lo troveremo tutti i giorni a disquisire della nuova creatura politica nata dal «vaffa a Grillo».

Probabilmente non avrà più quel nome e si ridurrà al lumicino di tutti i partitini della galassia di sinistra pronti a dare la volata alla Schlein. E Grillo? «Non posso uscire dal movimento» diceva, «è come se un musicista jazz decidesse di uscire dal jazz».

Ebbene, il jazz l'ha fatto fuori con tutti i crismi. E adesso gli toccherà prenderne atto. «Da francescani a gesuiti» ha commentato lui a caldo. Io aggiungo: «Esce un comico e inizia un tragico». Mi pare una bella tragedia.

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