Se Confindustria sale sul carro che va fuori strada

Serve un sindacato datoriale, che difenda le ragioni dell'impresa. Confindustria, svegliati. O, se preferite, "fate presto"

Se Confindustria sale sul carro che va fuori strada

Il presidente di Confindustria, Vincenzo Boccia, ha detto che non ha paura dell'avvento del Movimento cinque stelle al governo. Sergio Marchionne dice di avere visto di peggio. Ieri il capo delle coop rosse, Mario Lusetti, ha detto: bene il leader grillino.

Proprio su questo giornale, solo qualche giorno fa, abbiamo scritto: i Cinque stelle hanno vinto e ora governino, se ne sono capaci. Ma c'è una differenza, un sovrappiù rispetto alla nostra posizione. Una cosa è rispettare il voto degli italiani, una cosa è, come ha efficacemente subito notato Luca Cordero di Montezemolo, salire sul carro dei vincitori. Il filo rosso, purtroppo, parte da lontano. Parte da quell'incredibile e assurdo endorsement che Confindustria fece al referendum costituzionale di Renzi. È nella tradizione di viale dell'Astronomia, quella di Emma Marcegaglia, per intenderci, alla ricerca di uno strapuntino di sottogoverno, impicciarsi delle regole del gioco della politica. Ma almeno i romani lo facevano con giudizio e, furbescamente, si tenevano liberi. Purtroppo Boccia e il suo ufficio studi hanno condotto una campagna elettorale che sembrava quella di Renzi e hanno scritto nero su bianco cosa sarebbe successo se il referendum non fosse passato: le cavallette.

Boccia è una brava persona, ha fatto bene il delegato per il credito ottenendo la moratoria sui debiti, ma ora non ne sta azzeccando più una. O, meglio, sta salendo su tutti i carri, parafrasando Montezemolo, pur di rimanere seduto da qualche parte. Non che le cose siano più floride nelle province territoriali dell'impero. Con poche eccezioni che cercano di tamponare (Brescia sembra una di queste), è un fuggi fuggi da Confindustria, che è guidata da rispettabilissimi impiegati di aziende che fatturano meno di un buon bar nel centro di Milano (come è il caso dell'attuale vertice di Assolombarda).

A beneficio del presidente Boccia e dei suoi vicepresidenti, dunque, rileggiamo una recente intervista che gli sarà sfuggita fatta da La Stampa a Pasquale Tridico. Probabilmente l'auspicata due diligence sull'utilizzo delle carte di credito appannaggio dei vicepresidenti dell'augusta associazione, piccola querelle in corso da tempo, sta frenando l'acquisto delle mazzette di giornali alla presidenza. Ecco perché può essere utile questo nostro servizio, al costo della copia del Giornale.

Ritorniamo al nostro Tridico. Ha 42 anni e insegna politica economica a Roma Tre. Ma, ciò che più conta, è candidato al ministero del Lavoro del governo Cinque stelle. Cari amici della Confindustria sentite che dice riguardo al vostro core business, e cioè il lavoro. Nel nostro immaginario, infatti, il lavoro lo fanno le imprese e non le burocrazie statali. «È urgente invertire le politiche di estrema flessibilizzazione del mercato del lavoro» e sapete perché? Elementare Watson: «Le evidenze empiriche mostrano che sono i Paesi con mercati meno flessibili a presentare le migliori performance in termini di produttività del lavoro in Europa». Ma se, cari amici, questa dichiarazione non vi basta per avere un po' di «strizza», continuo con le parole del prossimo ministro. «Il nostro intervento sul cuneo fiscale sarà selettivo, perché in linea teorica abbassare eccessivamente il costo del lavoro spinge le imprese ad investire in produzioni labour intensive, ostacolando la crescita della produttività e innovazione tecnologica... Stiamo pensando a riduzioni in determinati settori». Ma questo dove lo hanno preso? Dallo stesso milieu della Fornero: grandi teorici, che non hanno mai servito una polpetta da Mcdonald's.

Cari amici industriali, vi faccio un riassunto. Il prossimo ministro con cui dovrete trattare e che avete dichiarato che non vi fa alcuna paura chiede maggiore rigidità sul mercato del lavoro ed è allergico alla vostra storica battaglia contro il cuneo fiscale. Neanche sotto tortura posso credere che un grande industriale italiano come Maurizio Stirpe, uno che, a differenza di molti confindustriali di vertice, un'azienda ce l'ha, non sia preoccupato da una dichiarazione di questo tipo. Stirpe ha la delega proprio al lavoro e alle relazioni industriali. È riuscito a Roma e nel Lazio a tagliare tutte le pastoie politicanti della sua organizzazione. Per lui la Confindustria è ciò che dovrebbe essere per tutti: un servizio e non un trampolino di lancio.

Oggi sono i nuovi politici che si devono accreditare con il mondo delle imprese, e non viceversa.

Ecco perché sarebbe utile un sindacato datoriale, che difenda con forza le ragioni dell'impresa. Confindustria, svegliati. O, se preferite, «fate presto».

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