Conte assediato cede sul Cts: atti desecretati

A pochi giorni dalla pausa estiva, il governo si ritrova davanti a un gigantesco imbuto dentro il quale faticano e non poco a scorrere i tanti nodi finora abilmente rinviati a data da destinarsi

Conte assediato cede sul Cts: atti desecretati

A pochi giorni dalla pausa estiva, il governo si ritrova davanti a un gigantesco imbuto dentro il quale faticano e non poco a scorrere i tanti nodi finora abilmente rinviati a data da destinarsi. Una sorta di campo minato, all'interno del quale Giuseppe Conte galleggia come al solito, mentre Pd e M5s non sembrano ancora aver capito come muoversi. Troppi, infatti, sono i dossier ancora aperti nonostante il «generale agosto» sia ormai arrivato, da quelli più strettamente economici a quelli più squisitamente politici. Ci sono il decreto Agosto (con la minaccia di sciopero generale di Cgil, Cisl e Uil) e il decreto Semplificazioni, sui quali ancora non si trova la quadra al punto che il Consiglio dei ministri in programma oggi dovrebbe slittare a domani (questa volta, incredibilmente, non in notturna, perché la voglia di vacanza pare stia avendo la meglio sulla brutta consuetudine di riunire il governo a tarda notte, lontani dai riflettori dei media). Ma ci sono anche questioni più strettamente politiche: dal giallo delle dimissioni del ministro dello Sport Vincenzo Spadafora (che un pezzo del suo Movimento auspicava) al confronto sulla legge elettorale (con il Pd che un anno dopo aver votato il referendum sul taglio dei parlamentari ne scopre oggi gli annessi rischi per la tenuta democratica). Sullo sfondo, la decisione del Copasir di chiedere a Palazzo Chigi gli atti del Comitato tecnico scientifico che portarono alla decisione del lockdown causa Covid-19. Richiesta che alcuni membri del Comitato di controllo sui servizi motivano arrivando a usare l'espressione «emergenza trasparenza». Un accusa grave per il governo. D'altra parte, proprio qualche giorno fa, l'esecutivo ha messo mano alla procedura per la nomina dei vertici dei servizi di intelligence senza darne alcuna comunicazione al Parlamento. Un caso senza precedenti. Infatti, forse proprio per evitare speculazioni, a tarda sera Palazzo Chigi decide di inviare la documentazione del Cts alla Fondazione Einaudi (da cui è partito il ricordo al Tar).

Infine, ma ancora in fase embrionale, c'è la disputa europea sul Recovery Fund. L'appello di Sergio Mattarella («non è un passaggio della diligenza cui attingere ma un'occasione storica di rilancio per l'Italia», ha detto il capo dello Stato) non è stato infatti casuale, visto che anche al Quirinale devono essere rimbalzati i rumors dei primi tira e molla tra i diversi ministeri per accaparrarsi il «bottino». È vero che per quanto riguarda l'utilizzo dei 209 miliardi che arriveranno dall'Unione europea c'è ancora tempo, ma una prima istruttoria nei singoli dicasteri è già stata avviata e stando alla dead line di Conte dovrebbe concludersi entro il 10 agosto. E l'approccio, al momento, è esattamente quello dell'assalto alla diligenza paventato da Mattarella.

Insomma, il perimetro all'interno del quale si sta muovendo il governo in questi giorni che precedono la pausa estiva è piuttosto complesso e, soprattutto, sconnesso. Per Conte, certo. Anche se il premier ormai ha preso confidenza con la navigazione a vista e riesce puntualmente a dribblare gli ostacoli. A fare le spese di questo eterno gioco al rinvio su tutti i fronti, invece, sono soprattutto il M5s e il Pd. Ma se il Movimento ci ha un po' fatto l'abitudine - come dimostra il vertiginoso crollo di consensi rispetto alle politiche del 2018 dove sfondarono quoto 32% - per i dem la sensazione è nuova. Eppure anche il partito di Nicola Zingaretti è finito vittima del continuo temporeggiare. Sul referendum per il taglio dei parlamentari, per esempio. Riforma simbolo del populismo grillino, il Pd ha deciso di votarla in quarta lettura - dopo tre no - solo come pegno al M5s per dar vita al Conte2.

In un anno, però, le promesse di Conte e del Movimento di approvare un mini pacchetto di correttivi costituzionali per rendere digeribile la riforma dal punto di vista della tenuta democratica - il risparmio è minimo, 57 milioni scarsi, mentre il rischio di ledere il principio di rappresentanza è alto - è finito nel dimenticatoio. Così oggi Zingaretti si trova con il referendum alle porte (è in programma il 20 settembre) e il dibattito sulla legge elettorale proporzionale (che mitigherebbe i rischi di cui sopra) del tutto arenato.

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