Più tamponi ma soprattutto test sierologici che servono a capire se si sono sviluppati, o meno, gli anticorpi nel sangue e scoprire, così, se c'è stata o se è in corso l'infezione. Sarebbero queste le intenzioni di alcune regioni nella lotta quotidiana al Covid-19 ma, al momento, non c'è ancora una linea comune e non sarà così dappertutto.
"Fase due"
Mentre l'Italia sta combattendo la propria battaglia nel pieno della prima fase, ovvero di massima restrizione, parallelamente, a livello sanitario si punta all'avvio della "fase due" che prevede le analisi del sangue e che oggi prenderà il via in Emilia-Romagna, Toscana e Lazio, le più "coraggiose".
Fino a questo momento, però, nel nostro Paese non c'è una linea guida univoca, ed ogni regione si è auto-regolata. Come si legge sul Messaggero, la battaglia al Covid-19 sta procedendo in ordine sparso e rischia di non essere un bene. "Serve una regia comune, una strategia che venga applicata a tutto il Paese, sia pure adattandola alle varie peculiarità locali" afferma il Prof. Andrea Cristanti, virologo dell'Università di Padova ed un sostenitore dell'uso massiccio, ma mirato, dei tamponi in Veneto, che rimane una delle regioni che ne ha eseguiti di più in Italia (circa 112 mila).
Analisi al sangue in Emilia, Toscana e Lazio
Come detto, la Regione Emilia-Romagna sta iniziando una campagna di test sierologici su tutto il personale sanitario ed anche in Toscana si segue l'esempio emiliano, dove si punta ad uno screening di massa tra gli anziani e gli operatori delle Rsa. Pure il Lazio è in prima linea ed ipotizza, addirittura, test di qusto tipo su tutta la popolazione.
L'assessore all Sanità dell'Emilia-Romagna Donini, spiega che soltanto tramite i test sierologici si possono riuscire a fare esami su intere e vaste categorie di cittadini, anche perché sui tamponi veri e propri i laboratori in tutta Italia rischiano di essere insufficienti. E c'è carenza dei reagenti.
In ogni caso, senza entrare in conflitto con l'Iss che, come ha spiegato Rezza, non ha ancora validato questi test che si trovano in commercio e non hanno, quindi, una valenza diagnostica, "in caso di positività del paziente si procederà con i tamponi", ha fatto sapere Donini.
Nel corso della conferenza stampa di ieri della Protezione civile, però, il professor Alberto Villani, membro del comitato scientifico, ha ribadito che il tampone va fatto solo a chi è sintomatico, con febbre, tosse e difficoltà respiratoria. Il tampone è una cosa, il test sierologico un'altra. Come regolarsi, dunque? Ogni regione, al momento, segue una propria strada: è il caso dell'inizio dell'emergenza, quando il Veneto ha deciso per un politica massiccia sui test mentre la Lombardia è andata verso altre direzioni.
Manca una linea comune
Su 541mila tamponi eseguiti in Italia, il Veneto ne ha fatti 112mila, quasi quanti la Lombardia (121mila) che ha, però, cinque volte i contagiati del Veneto e quindici volte il numero dei decessi. Qualcosa, quindi, non ha funzionato, probabilmente perché è mancata una linea comune.
Il caso "Nerola"
Mentre si discute sul come e perché, nel piccolo comune di Nerola, alle porte di Roma, è in corso una sperimentazione con tre tipi di test: tampone, un test rapido che preleva il sangue dal dito e quello più complesso sierologico.
"Stiamo facendo la sperimentazione proprio per avere la validazione - spiega l'assessore alla Sanità Alessio D'Amato -ed abbiamo un obiettivo ambizioso: test a molte più persone nel Lazio, magari a categorie vaste come gli studenti o le forze dell'ordine. L'Italia dovrebbe avere un obiettivo: comprendere chi è entrato in contatto con il virus e chi no. Ma sono io il primo a dire che servirebbe una strategia unica, in tutto il Paese".- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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