Il coronavirus spesso regala testimonianze, racconti che aprono il cuore. In queste settimane di morte e disperazione c’è spazio per lacrime e sorrisi di tenerezza. Come per esempio quelli che nascono spontanei ascoltando una operatrice del 118 che ha voluto essere vicino, fino all’ultimo istante di vita, ad Albertina, una anziana signora del Veronese.
Due angeli al suo fianco
Come ha riportato dal Corriere, Marina Vanzetta, 55 anni, coordinatrice infermieristica del reparto di Otorinolaringoiatria all’ospedale di Negrar, in provincia di Verona, e infermiera delle ambulanze del 118, ha spiegato: “L’ho accarezzata, le ho tenuto la mano, le ho sistemato una ciocca dei suoi capelli bianchi e sottili. Insomma: l’ho accompagnata fino alla morte. Ho fatto quello che avrebbe fatto una figlia”. Anche se non era sua figlia, né una parente della donna. Ma si è accorta che ormai stava morendo e non ci ha pensato due volte, ha avvertito la centrale e le è rimasta accanto. In due, la Vanzetta e la sua collega, Cristina, guidatrice dell’ambulanza, si sono messe ai due lati del letto, come due angeli. E hanno aspettato che il cuore della signora 89enne smettesse di battere nel suo letto, nella Casa Maria Gasparini, la residenza per anziani di Villa Bartolomeo, in provincia di Verona.
Dalla Ras hanno chiamato l’ambulanza e sono arrivate Marina, Cristina e un medico. Subito hanno capito che l’anziana stava morendo e la corsa in ospedale sarebbe stata inutile. Sarebbe probabilmente morta in un letto da sola, senza nessuno al suo fianco, nessuno che le tenesse la mano per accompagnarla nell’ultimo viaggio. In quel momento hanno preso la decisione: “Ci siamo detti che non l’avremmo lasciata morire da sola. Io e la collega siamo rimaste con lei, il medico era fuori dalla stanza a parlare con l’ospedale. È morta un’ora dopo ma se anche avesse respirato per più tempo io sarei stata lì. Ho pensato a tutte le persone che ogni giorno muoiono sole e lontano dalle famiglie. Non volevo che capitasse anche a lei”.
Troppo alto il rischio di contrarre il coronavirus
La figlia della donna, raggiunta telefonicamente, è stata informata che la madre non sarebbe morta sola. Un piccolo sollievo. Almeno quello. Le operatrici sanitarie della casa di cura erano in corridoio spaventate e stanche, provate da settimane durissime anche per loro. Una cinquantina gli ospiti della struttura risultati positivi al coronavirus, su 70 in totale. Otto giorni prima l’anziana era risultata negativa al tampone, ma nei giorni seguenti può averlo contratto. Almeno quel giorno la solitudine è stata sconfitta. In un momento in cui anche chi viene operato deve affrontare tutto da solo, sia il ricovero, che l’operazione e la degenza. Senza parenti e amici. Troppo alto il rischio di contrarre il Covid-19 in ospedale. Anziani lasciati nelle loro camere in case di cure dove figli e nipoti non possono entrare, chissà fino a quando.
La signora Albertina ha ricordato a Marina la sua nonna, colei grazie alla quale aveva scelto di diventare infermiera. La 55enne ha solo un rimpianto: “Mi è solo spiaciuto non aver potuto togliere i guanti mentre l’accarezzavo o le tenevo la mano.
Lei ha mai provato una carezza da una mano guantata? Non è la stessa cosa, è un contatto diverso, più freddo. Però a me piace pensare che lei abbia sentito lo stesso il calore umano che volevo trasmetterle”.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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