A ottobre 2017, poco più di un anno fa erano stati ben 580 i deputati dell'Europarlamento a votare una mozione che introducesse una formazione obbligatoria per sensibilizzare tutti i parlamentari al tema delle molestie sessuali e psicologiche sul luogo di lavoro.
Erano i mesi in cui sulle due sponde dell'Atlantico impazzava la polemica del caso #MeToo, con centinaia di donne più o meno famose che denunciavano di avere subìto molestie in passato e invitavano altre donne a fare altrettanto. Lo scandalo non risparmiò nemmeno le istituzioni politiche dell'Europa: Margot Wallström, al ministero degli Esteri svedese e Asa Regnér, al dicastero delle Pari Opportunità dello stesso Paese denunciarono molestie da colleghi di alto rango ai margini di vertici dell’Ue.
Dodici eurodeputate inviarono una lettera alla presidenza dell'Assemblea per denunciare di avere subìto o assistito a molestie inaccettabili, proprio all'interno delle istituzioni dell'Unione. Lo sdegno all'epoca fu unanime e, sebbene la discussione in Aula fosse stata assai poco seguita, pareva condiviso.
Oggi però, al momento dell'inizio del famoso contro anti-molestie, a presentarsi alla prima seduta sono stati appena 19 europarlamentari su 751. Il 2,5%: non esattamente un successo, soprattutto per un'attività che era stata pensata come obbligatoria.
Nonostante l'imbarazzo, c'è chi ha provato a giustificarsi, riporta il sito Observer.eu: il deputato slovacco all'Europarlamento Vladimir Manka
ha rilevato che "non esiste una base legale per obbligare i deputati a seguire una formazione obbligatoria". E se ci si affida ai volontari, in termini numerici i risultati - almeno per il momento - non paiono esaltanti.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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