Si può già tracciare un primo bilancio della manovra del governo Meloni. La Finanziaria ha dovuto fare i conti con un'eredità pesante (costo del superbonus) e un aumento dei tassi di interesse. Sarà una manovra piuttosto leggera (24 miliardi) e per quasi due terzi finanziata con maggiore deficit (15,7 miliardi). Ha smentito i gufi preoccupati di tagli alla sanità: anzi ne ha aumentato la dotazione (tre miliardi). Al contrario ha sforbiciato i bilanci dei ministeri, di qui ad esempio la polemica assurda contro il ministro della Cultura Sangiuliano che ha limato i fondi al cinema.
Accanto alla Finanziaria, il viceministro Leo, sta facendo approvare a passo di carica la delega fiscale, con l'obiettivo di semplificare gli adempimenti e non uccidere i morosi per bene.
C'è però un rumore di fondo, quasi ideologico, che non convince nella politica fiscale del governo. Il primo indizio è arrivato con la famigerata tassa sugli extraprofitti delle banche. Voleva dare l'idea che il governo fosse più vicino ai mercati rionali che a quelli finanziari. Se il governo avesse voluto recuperare preziose risorse dal settore bancario avrebbe ottenuto di più concordandolo con il sistema, che imponendo un balzello notte tempo. Carlo Messina, Giuseppe Castagna, Alberto Nagel, Andrea Orcel e il nominat\o dal Tesoro, Luigi Lovaglio, tutti a capo delle più importanti banche italiane, sarebbe stati disponibili a fornire risorse in un modo meno traumatico. È finita che la tassa sugli extraprofitti non produrrà che pochi milioni di gettito, poiché tutti gli istituti di credito adotteranno la misura alternativa (e introdotta dopo per rimettere insieme i cocci) di mettere risorse a capitale invece che versare tasse al Tesoro. Ma un piccolo danno di reputazione si è comunque consumato.
Altro indizio: il rientro dei cervelli. Il vice ministro Leo sta correggendo alcuni errori commessi nelle prime bozze. Ma nonostante tutte le modifiche pare che rimanga un tetto allo sconto fiscale. Ci spieghiamo meglio. I cervelli (e non solo cervelli) che rientrano in Italia godono di un supersconto. Si può e forse si deve discutere l'entità dello sconto. Ma perché escludere del tutto dallo sconto coloro che guadagnano più di 600mila euro? Sono proprio questi ultimi quelli che dovremmo attrarre: sono loro che comprano case, usano servizi, spendono e hanno evidentemente competenze tali che il mercato li strapaga.
Questi primi due indizi riguardano la creme de la creme dei contribuenti. La Finanziaria purtroppo rivela ulteriori pregiudizi ideologici. Bene ha fatto il governo a ridurre l'imposizione sulle fasce più deboli. Grazie alla riforma Irpef si aiutano i contribuenti fino a 28mila euro e grazie all'intervento sul cuneo fiscale si aiutano i lavoratori fino a 35mila euro. Si riducono inoltre i tagli alle pensioni più basse. Bene. In un momento di alta inflazione e con poche risorse, è giusto che i più deboli prendano 15 dei 24 miliardi della finanziaria.
Ma con quale sinistra logica si vuole aumentare la tassazione su chi ha una propria casa data con un affitto breve? Se non quella di togliere risorse al ceto medio. Perché ridurre la rivalutazione delle pensioni superiori a 5mila euro al mese, cioè proprio a coloro che hanno pagato più contributi durante la loro vita lavorativa. Perché voler racimolare quattro spiccioli dall'Imu sulle case estere. Perché introdurre di fatto una nuova tassa per le imprese che si chiama assicurazione obbligatoria sulle catastrofi?
La sensazione è che si tenga in scarsa considerazione la classe media, quella che guadagna più di 50mila euro lordi l'anno o che dispone di una seconda casa.
Senza parlare dei ricchi veri e propri e delle imprese, per i quali non c'è avvocato che tenga. Per carità, non si tratta di grandi cifre. Ma proprio per questo spaventa. Sembra più una battaglia ideologica che una questione concreta. Più un piccolo sfregio che una vera ragione di cassa.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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