Covid, il coraggio contro la paura di Speranza: la lezione del governo

Dopo anni di gestione della pandemia basata unicamente sul terrore, il governo della Meloni cambia strategia. E punta sulla responsabilità dei cittadini

Covid, il coraggio contro la paura di Speranza: la lezione del governo

La paura contro la speranza. La prima, spiega Ryan Holiday in Il coraggio chiama. La fortuna aiuta gli audaci (Hoepli), "ci allontana dal nostro destino. Ci trattiene. Ci blocca. Ci dà un milione di ragioni per fare qualcosa... Oppure per non agire affatto". È un fantasma che ci appare, qualunque forma abbia, e ci paralizza. Paura di perdere il lavoro. I figli. Paura della morte. E intanto la vita scorre senza che noi facciamo nulla. Impassibili. Paralizzati.

La speranza, al contrario, è una virtù (teologale) che ci ricorda che il domani può essere migliore, nonostante le difficoltà che viviamo oggi. È la certezza che dopo il buio della notte arriverà lo splendore del giorno. E che dalle fatiche e dalle sofferenze può nascere anche qualcosa di buono (se sappiamo accoglierlo) e, attraverso di esse, crescere. Ma affinché questo accada, davanti alle sfide che ci attendono, dobbiamo avere coraggio - che "non è semplicemente una delle virtù, ma la forma di ogni virtù quando messa alla prova", come scrive C.S. Lewis.

Per quasi tre anni, da quando il Covid ha fatto irruzione nelle nostre vite, siamo stati dominati dalla paura. Ed era comprensibile, almeno nei primi mesi della pandemia. Era arrivato un virus nuovo, del quale non sapevamo nulla. Un virus terribile ed estremamente contagioso che prendeva i polmoni, anche se poi si è capito che la vera causa di morte erano i trombi che questa malattia provocava, e ti strappava gli affetti più cari, magari abbandonati, a causa delle difficoltà degli ospedali, sul lettino in una corsia. Soli, di fronte al momento più tragico e definitivo della nostra vita: la morte. Abbiamo avuto paura quando, alle 18 in punto, ci sintonizzavamo davanti alla televisione per ascoltare il bollettino dei contagi. Per sapere se le terapie intensive si riempivano o si svuotavano. Se si registravano più o meno morti. Quasi che la pietà fosse scomparsa dalla terra, sostituita da numeri asettici. Avevamo paura quando vedevamo nell'altro un pericoloso untore solo perché, passando per strada lontano decine di metri da noi, non indossava la mascherina (spesso usata più per ricordarci che il virus era ancora in circolazione che perché fosse realmente efficace in determinati contesti). Abbiamo avuto paura perché il ministro della Salute, Roberto Speranza, era più terrorizzato di noi: "Sono nervoso al pensiero di qualsiasi aggregazione di più di due persone, mi turba persino veder passare le automobili per strada".

E abbiamo (non) vissuto quasi tre anni della nostra vita in questo modo. Senza coraggio. Senza reagire. E questo non significa che il virus non fosse, e non sia ancora, pericoloso. Le parole più sensate su questo tema, forse le più coraggiose, le ha scritte ad Avvenire un anziano, chiuso dentro una rsa durante una delle prime ondate del Covid. Non ricordo la parole esatte, ma il senso era: è davvero giusto, ora che c'è il Covid, non farmi vedere i miei nipotini perché rischiano di infettarmi? È davvero giusto che io passi gli ultimi anni della mia vita solo, senza poter godere dell'affetto dei miei cari? È questa la vita che voglio? Non vale forse di più rischiare, perfino la ghirba, e stare accanto a chi amo?

Così non è stato. Per anni abbiamo seguito regole (la mascherina anche quando si era soli per strada) e riti (come quello del bollettino) che ci sono stati imposti. Lo si è fatto in parte per senso di responsabilità. In parte per pigrizia. In parte perché tutti volevamo uscire al più presto da questa situazione. Ora però qualcosa è cambiato. Il virus non è certamente scomparso, come dice qualcuno con facile ironia, ma l'atteggiamento del governo nei confronti della pandemia è chiaro e lo ha ben definito il ministro della Salute, Orazio Schillaci, che ha ritenuto "opportuno avviare un progressivo ritorno alla normalità nelle attività e nei comportamenti, ispirati a criteri di responsabilità e rispetto delle norme vigenti". E per farlo ha abolito il bollettino quotidiano, facendolo diventare settimanale, e ha reintegrato i cosiddetti medici "no vax", un atto di pacificazione nazionale dopo mesi di tifo (e talvolta scontri) tra la tifoseria di chi era favorevole al vaccino e chi no.

C'è voluto coraggio, per farlo. È stato necessario guardare in faccia il virus che ci faceva paura e tirare fuori tutta la forza che il governo aveva in corpo per dire che era il momento di cambiare. Lo ha detto con chiarezza il nuovo premier, Giorgia Meloni, nel suo discorso programmatico: "Voglio dire fin d’ora che non replicheremo in nessun caso quel modello (di Speranza, ndr). L’informazione corretta, la prevenzione e la responsabilizzazione sono più efficaci della coercizione, in tutti gli ambiti.

E l’ascolto dei medici sul campo è più prezioso delle linee guida scritte da qualche burocrate, quando si ha a che fare con pazienti in carne ed ossa. E se si chiede responsabilità ai cittadini, i primi a dimostrarla devono essere coloro che la chiedono". C'è voluto coraggio per dirlo. E ancora di più per farlo.

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