Uno degli aspetti meno conosciuti del Covid-19 rigurda il decorso della malattia nelle persone che vengono infettate: alcuni non sviluppano mai alcun sintomo (asintomatici), altri ne sviluppano di molto lievi (pauci-sintomatici) mentre, tra coloro che sviluppano la sindrome respiratoria, alcuni se la cavano con qualche giorno di febbre, altri necessitano del ricovero ed una minoranza finisce addirittura in terapia intensiva. Perché queste enormi differenze tra singoli individui se il virus è lo stesso? Alcune risposte potrebbero risiedere nella genetica.
Differenza uomo-donna
La risposta, probabilmente, risiede nei geni: bisogna evidenziare le differenze che intercorrono tra donne e uomini quando si comincia ad entrare nei meccanismi alla base dell’infezione, differenze che possono essere sia di tipo ormonale che genetico. Come riporta un documento dell'Istituto Superiore di Sanità, il Sars-Cov-2 penetra nelle nostre cellule legandosi ad un recettore chiamato Ace2 per entrare nelle cellule polmonari e cardiache riducendone la sua funzione protettiva dai danni causati da infezioni, infiammazioni e stress. Gli estrogeni aumentano la presenza e l’attività di questo recettore mentre gli androgeni svolgono un ruolo opposto. Ace2 potrebbe essere più presente nei polmoni delle donne perché codificato da geni iperespressi dal cromosoma X.
Il ruolo dei cromosomi X e Y. "L'equivoco tra la maggiore suscettibilità dell'uomo rispetto alla donna, che probabilmente è un equivoco, nasce dal fatto che il gene che codifica per il recettore principale del Coronavirus si trova sul cromosoma X: le donne ne hanno due copie, l'uomo soltanto una", ha spiegato in esclusiva per ilgiornale.it la Prof.ssa Fiorella Gurrieri, specialista in Genetica Medica del Laboratorio di malattie infettive al Policlino Gemelli e Professore ordinario di genetica medica all'Università Campus Bio-Medico di Roma. Ecco qual è l'ipotesi per cui si parla di maggiore protezione della donna e della maggiore esposizione dell'uomo. "Si è ipotizzato che, poiché la donna ne possiede due copie, tollera di più i difetti di funzione di questo recettore ed è meno suscettibile all'infezione da Coronavirus. Non c'è niente di scientifico e nulla è stato ancora provato ma è un'ipotesi basata su questa differenza", sottolinea la genetista.
Perché la donna è più protetta. La Gurrieri ci spiega che, teoricamente, è la donna che dovrebbe essere più recettiva (quindi più esposta) perché, a livello funzionale, dei due cromosomi X ne funziona uno solo anche nelle donne e non ci sarebbe motivo di pensare ad una differenza di funzione tra i due sessi. "L'unica ipotesi è che, avendo la donna due copie, se per qualche motivo congenito una delle due funzionasse di meno o di più, la donna è più protetta perché ne ha anche un'altra che si presume essere normofunzionante".
Ecco le varianti genetiche. In queste settimane sentiamo parlare di varianti del virus (inglese, italiana, ecc.), ma quelle che in questo caso fanno la differenza tra un individuo ed un altro riguardano la genetica: da studi genomici effettuati su larga scala sono stati trovati una decina di geni che possono modificare la risposta individuale al Covid. "In altre parole, esistono varianti genetiche potenzialmente protettive e varianti genetiche di maggiore suscettibilità. Questo potrebbe spiegare perché alcune persone si ammalano più gravemente di altre che contraggono l'infezione ma sono paucisintomatiche o per nulla sintomatiche e persone che vengono a contatto con il virus non si infettano", sottolinea la ricercatrice.
Cosa accade nelle famiglie
Molti sforzi, adesso, si concentreranno tra gruppi di persone che, di base, hanno metà del patrimonio genetico in comune: stiamo parlando delle famiglie, in ognuna delle quali c'è un variabilità di risposta al virus. "Abbiamo deciso di studiare gruppi familiari di almeno 4-5 persone che abbiano avuto la stessa esposizione al virus, in quanto conviventi, ma con manifestazioni diverse o addirittura senza manifestazioni - dice la Gurrieri - Stiamo analizzando la variabilità genetica tra i vari membri di queste famiglie concentrandoci sul gruppo di una quarantina di geni conosciuti perché coinvolti nella risposta immunitaria. Abbiamo iniziato da poco, prima dei prossimi sei mesi non avremo dati". Lo studio intrafamiliare, per i genetisti, è chiamato di "selezione" perché i membri di una famiglia condividono già il 50% del loro materiale genetico.
La genetica nelle popolazioni mondiali
"Da studi preliminari, si è visto che dei cluster sono più soggetti ad infettarsi rispetto ad altri: un'influenza genetica c'è ma va dimostrata, sono più delle assunzioni", ha detto al nostro giornale Emanuele Montomoli, Professore ordinario di Sanità Pubblica e Presidente e fondatore dell'Institute for Global Healt dell'Università di Siena. Il docente ci ha spiegato uno studio italiano condotto dall'Istituto Ceinge-Biotecnologie Avanzate, che opera nel campo della biologia molecolare e delle biotecnologie avanzate applicate alla salute umana. È un'eccellenza in Italia e all'estero per la Ricerca e la Diagnostica delle malattie genetiche (ereditarie e acquisite).
"L’infezione da Sars-Cov-2 avviene a causa di un meccanismo molecolare nel quale il virus utilizza la proteina Ace2 e la proteina TMPRSS2, quella che rompe il legame tra l'Ace2 e la Spike e permette al virus di entrare nella cellula. Dal momento che queste proteine sono espresse dalle cellule, non escludo che possano essere espresse in maniera più o meno importante su cellule di diverse popolazioni", ci ha detto Montomoli.
Anche se non ci sono ancora evidenze scientifiche, lo studio condotto dai ricercatori campani su varianti genetiche di 141.456 soggetti sani appartenenti a 17 diverse popolazioni tra le quali Africani, Europei, Asiatici e Latini dimostra che la variante genetica di TMPRSS2 è maggiormente frequente nelle popolazioni di Africa, Europa e Paesi latini. "Spero che nel prossimo periodo venga dimostrato con dei dati solidi ma non sono ipotesi campate in aria, una base scientifica c'è. C'è anche uno studio olandese condotto su un claster di popolazioni diverse con geni diversi che mostrava come le infezioni fossero differenti e con severità diverse. Qualcosa c'è, non è escluso che qualcosa possa essere anche legato al sesso", conclude Montomoli.
I rischi nell'uomo. Uno dei fattori di rischio che esporrebbe maggiormente gli uomini rispetto alle donne è legato proprio alla presenza della proteina TMPRSS2, presente ad alti livelli in tessuti specifici maschili come prostata e testicoli: studi epidemiologici condotti in diversi paesi tra cui Cina, Italia e Stati Uniti, hanno dimostrato che l'incidenza e la gravità delle infezioni virali da Covid-19 e di altre infezioni virali come una semplice influenza va di pari passo con la massiccia presenza o meno di questa proteina, maggiormente presente nel genere maschine rispetto a quello femminile.
È "colpa" di Neanderthal
Sembra incredibile, ma quanto accade oggi nel legame Covid-genetica ha origine oltre 60mila anni fa quando viveva ancora l'uomo di Neanderthal: alcune delle varianti geniche, in particolare quelle presenti sul terzo cromosoma, sono presenti anche nei Neanderthal vissuti in Croazia. Questo pacchetto genetico è arrivato a noi Sapiens dai Neanedrthal con i quali ci siamo più volte accoppiati in Eurasia una volta usciti dall’Africa. Di conseguenza, questo gruppo di varianti geniche di origine neanderthaliana è particolarmente diffuso in Asia (nel 30% degli abitanti), in Europa (nell’8% degli europei), ma non in Africa e che, se confermato, potrebbe essere anche parte della spiegazione del perché in Africa, finora, il virus sembra aver attecchito meno che in altri Paesi.
Se questo gruppo di geni proteggeva i Neanderthal da infezioni batteriche o virali altrimenti fatali, chi di noi ha ereditato quell’aplotipo (che è la combinazione di
varianti alleliche lungo un cromosoma o segmento cromosomico) rischia, se si infetta con Sars-CoV-2, di avere una risposta immune esagerata che, non solo non lo protegge, ma lo espone a una malattia più severa.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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