Non avendo problemi di sottovalutazione del proprio ego, Massimo D'Alema ha incaricato una società di valutarlo come uomo d'affari. La perizia servirà nella causa per un compenso da 500mila euro che la Fondazione dei socialisti europei ritiene non gli fosse dovuto. Il lider Maximo non si scompone: «Mi hanno pagato meno del valore delle mie prestazioni». E a Repubblica assicura: «Da quando non presiedo la Feps guadagno molto di più».
A quel che risulta al Giornale, ha ragione. Lui che accusa la sinistra di «aver smesso di essere diffidenti e critici nei confronti del capitalismo», da quando si occupa di affari di capitali ne ha incassati parecchi. «Eppure - dice uno dei tanti suoi vecchi ex amici -, di business Massimo ci capiva poco. Arrancava con il mutuo quando ha dovuto comprarsi la casa dopo Affittopoli».
Altri tempi. Poi D'Alema ha trovato l'America in Cina. A differenza degli imberbi grillini, però, lui sulla Via della seta ci cammina da quarant'anni. Agli albori degli anni 80, un ventennio dopo Le divergenze tra il compagno Togliatti e noi, famoso pamphlet che sancì la rottura tra Pechino e il Pci, una delegazione di giovani comunisti fu la prima a sbarcare in Cina per ricucire i rapporti dopo la morte del Grande Timoniere. Ne faceva parte un giovane Massimo D'Alema che, fin da allora, rimase folgorato. E di strada ne ha percorsa parecchia sull'amata Via della seta. Da premier si diceva che a Palazzo Chigi avesse creato «la prima merchant bank che non parla inglese», ma i veri affari li ha fatti dopo, diventando presidente dell'advisory board di Ernst & Young Italia, già partner della Fondazione Italianieuropei di cui D'Alema è stato presidente. L'incarico per Ey gli frutterebbe 300mila euro, ben di più dei 120mila annui della Feps. C'è di che compensare il taglio dei vitalizi imposto nel 2018 da Roberto Fico: il suo emolumento si è ridotto da 9630 a 7600 euro lordi mensili.
La passione per la politica però è rimasta: D'Alema è stato tra i più accesi fautori del governo Conte. E la cosa gli ha portato fortuna: nel 2019 il fiorire della sua attività di lobbista internazionale lo spinge a fondare e amministrare la DL & M Advisor SrL, sede a Roma, capitale sociale di soli 500 euro ma ricavi non disprezzabili già dal primo anno: 172mila euro, con un piccolo utile di 27.594. Va ancora meglio la società fondata nel ternano con il noto enologo Roberto Cotarella: 483.354 euro di ricavi e 172mila di utile, quasi tutto frutto dell'export di vini. Su quale mercato? Ma è ovvio: la Cina. Non a caso la società si chiama Silk road wines SrL. La caduta dell'avvocato del popolo pare invece aver innescato una spirale negativa, a partire dall'affondo della Feps che fa tremare di sdegno il famoso baffino: «È una vendetta politica». Ma non solo: D'Alema ha perso anche la docenza alla Link university dopo che è stata rilevata dalla famiglia Polidori (quelli del Cepu). E poi i libri: il suo ultimo tomo, Grande è la confusione sotto il cielo, cita Mao Zedong nel titolo non è al topo per vendite.
E poi il caso dei ventilatori polmonari acquistati dalla Protezione civile il 13 marzo 2020 e poi risultati non a norma.
Ora sono al centro di un'inchiesta che dipinge D'Alema come mediatore, in qualità di presidente onorario della Silk road alliance, ente che controlla il fornitore dei ventilatori, e nel cui «steering committee» il lider Maximo siede al fianco di ex ministri cinesi, l'ex presidente ucraino Viktor Yuschenko e perfino un membro della famiglia reale thailandese. Un paradosso: proprio ora che in Italia governano i Draghi, la carriera di D'Alema non fila più sulla seta.
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