De Falco: "Quei 45 minuti per evitare la strage"

Il senatore entra in merito alla vicenda e replica alle accuse della figlia di Schettino

De Falco: "Quei 45 minuti per evitare la strage"

Il senatore Gregorio de Falco, noto al pubblico per aver coordinato le operazioni di soccorso in occasione del naufragio della Concordia, racconta la tragica notte e risponde alle accuse lanciategli dalla figlia di Schettino.

Cosa è accaduto davvero in quelle ore? Si poteva dare prima l’ordine di abbandonare la nave?

“L’urto avviene alle 21,45. Dopo pochi minuti il personale della plancia, fra cui il primo ufficiale Iaccarino, verificano i danni e da allora, intorno alle 21,50, si ha consapevolezza che la nave è persa e va abbandonata, essendo oltre tre compartimenti contigui allagati, il che significa che la nave non è più luogo sicuro. Si sarebbe dovuta cominciare, quindi, la procedura per mettere in sicurezza passeggeri ed equipaggio. Al contrario, Costa non avverte nessuno di quanto successo. La sala operativa di Livorno aveva solo avuto notizie di un qualcosa di strano su una non meglio identificata nave passeggeri tra Savona e Barcellona”.

Come avete fatto a sapere, allora, che era la nave di Costa?

“Perché una passeggera aveva chiamato la figlia e le aveva detto guarda che qui c’è qualcosa di strano perché siamo al buio, la nave è spenta e cade la roba dal tavolo. La ragazza, infatti, chiamò i Carabinieri di Prato e uno di loro, non sapendo nulla di navigazione, avvertì la Capitaneria a lui più vicina. Quando finalmente trovammo la nave, però, ci fu dichiarato di un banale blackout, che ai nostri occhi non giustificava il fatto che la roba cadesse dal tavolo. Chiamammo, quindi, la Concordia, trovandola, con non poche difficoltà, nei pressi dell’Isola del Giglio con la prua rivolta verso sud, altro elemento che non faceva pensare a una banalità”.

Anticipando le operazioni si sarebbero salvate delle vite?

“Anziché aspettare che la nave fosse inclinata e si fosse data l’emergenza generale appena avuta la consapevolezza che la Concordia andava abbandonata, le persone dovevano essere subito convogliate a punti di riunione e scialuppe. Anche nel dubbio bisognava dare l’emergenza. Male che andava si poteva dire ci dispiace. Si sono fatte partire le operazioni, però, ben 45 minuti dopo, pur dovendo una nave, per regola, fare l’abbandono in 30 minuti. In realtà furono messe a mare le scialuppe e solo sul lato dritto, errore, alle 22,56 e forse anche lì per effetto delle persone che stavano già salendo a bordo o comunque era stato consentito loro di farlo. Solo a quel punto, il comandante disse “e vabbuò portiamole a terra”. Poi ci ripensò e passarono altri 15-20 minuti. Più passava il tempo, però, e più la nave si inclinava. A un certo punto lo era talmente tanto che non si riuscivano ad ammainare le scialuppe di sinistra”.

Cosa accadde quindi?

“Tre si fermarono sulla fiancata, non scivolarono in mare. Circa 450 persone dovettero uscire dalle scialuppe e furono convogliate dai soccorritori della guardia costiera verso poppa via dove c’era una scala di corda posta sul fianco sinistro. Non era quella che avevo indicato al comandante che era posta a prua via destra. Il tutto venne ripreso da un elicottero. In sintesi, la procedura andava cominciata subito e invece si attesero 45 minuti e la mia richiesta. I nostri soccorsi per fortuna non attesero”.

La figlia di Schettino la accusa di non aver capito nel particolare momento la situazione, come risponde?

“C’è stato già un processo. Bisogna conoscere ciò di cui si parla. Una cosa è un ruolo operativo, un altro è il tattico. Essendo a 75 miglia di distanza non vedevo la situazione, ma la conoscevo. Dovevo, infatti, coordinare gli sforzi di 48 unità navali e 8 elicotteri. Non capisco, pertanto, a cosa fa riferimento la signorina e soprattutto cosa mi sarebbe sfuggito”.

E’ stato dichiarato di alcune telefonate non riportate prima della tanto discussa conversazione con Schettino. Cosa vi siete detti?

“L’ho detto anche in giudizio. Ci sono state addirittura trasmissioni televisive sulle varie comunicazioni, non sulle telefonate, perché le prime tre sono via radio, che avvengono in plancia quando c’è ancora qualcuno. Quando vanno via tutti proviamo e proviamo a chiamarli via telefono e solo dopo diversi tentativi ci viene detto che il comandante coordinava i soccorsi dalle scialuppe. Abbiamo saputo dopo che non era lì, ma a terra. Ci sono state, poi, altre comunicazioni. C’è stata, per esempio, quella radio delle 22,34 in cui gli faccio dire che sono in pericolo, di dichiarare l’emergenza. In seguito un’altra, alle 22,48, in cui chiedo loro se non sia il caso di dichiarare l’abbandono nave che avviene alle 22,56. Gli atti sono pubblici, li si può trovare sul web”.

Dopo dieci anni, è del tutto chiara la vicenda?

“Negli sviluppi essenziali è chiarissima: la dinamica dell’urto, l’abbandono nave. E’ possibile, però, che ci siano aspetti legati a vicende che non determinarono gli eventi, ma ne fanno parte, su cui ancora non è stata fatta piena luce, come nel caso di Giuseppe Girolamo, ventiseienne batterista che cedette il proprio posto a una signora con due bambini. Se ci fosse stata l’autorità a bordo probabilmente anche lui sarebbe stato salvo”.

Tutti coloro che hanno sbagliato hanno pagato?

“Credo di sì. Non è vero che ha pagato solo Schettino. Il processo è stato fatto e ha rilevato la responsabilità di altri che sono stati ritenuti tali perché non hanno sollevato il comandante dall’incarico sebbene tenesse un comportamento non razionale dalla fase dell’urto a fine operazioni. Si sarebbe dovuto rilevare che non cambiare rotta e tenere la prua della nave a sedici nodi e poche centinaia di metri dall’isola era una navigazione pericolosa e quindi doveva intervenire in primis l’ufficiale di guardia e in via subordinata, come dice il codice, il terzo. Il secondo è di affiancamento, quindi, non aveva tale ruolo”.

Come risponde a chi le chiede un religioso silenzio?

“Non si deve mantenere il silenzio sulla verità”.

A

suo parere è utile ricordare la data del 13 gennaio?

“Parteciperò alle ricorrenze perché non è importante ricordare il comportamento, la responsabilità, ma le vittime innocenti, come Dayana Arlotti di soli 5 anni”.

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