Siccome la riconoscenza è cosa rara nella sfera privata, ma pura utopia in politica, la storia è popolata da salvatori della patria che in pochi anni sono passati dagli allori alla polvere. Il naturale deterioramento del consenso dei governanti segue una legge fondamentale: l'onda del successo è totalizzante ma breve, la risacca della quotidianità da gestire, con le sue miserie e i suoi interessi di parte, è lunghissima. E se gli inglesi nel 1945 non votarono per Winston Churchill, uno a cui dovevano la vita e la libertà, è lecito aspettarsi che il vento cambierà anche per Mario Draghi.
Il decreto sul green pass esteso, punto di svolta nella lotta al virus e punto di ripartenza economica e sociale, è uno snodo essenziale nell'attività del premier e nella sua percezione. Anche in quest'ottica, può segnare il ritorno alla «normalità». Finora, Draghi è stato prima invocato, poi accolto e seguito come un messia contemporaneo, una sorta di Übermensch in cui preparazione, carisma e visione potevano far svoltare pagina al Paese, come è effettivamente accaduto. Al netto di opposizioni ideologiche o di principio («euroburocrate», «presidente non eletto»), ha avuto tutti dalla sua parte. Ha fatto un miracolo, ma il capitano che salva i naufraghi mette sempre tutti d'accordo. Diverso è quando bisogna far rotta verso qualche porto e chi è a bordo comincia a litigare.
Con l'emergenza sanitaria, infatti, si conclude anche la fase plebiscitaria del governo Draghi, mentre si apre quella delle decisioni divisive. Proprio in questi giorni due temi fanno capolino nel dibattito e lasciano intravedere la mutata prospettiva: il rincaro delle bollette e la riforma del catasto. Problemi concreti, quasi prosaici per un personaggio che ha guarito l'Europa dalla crisi, per l'unico leader in grado di succedere alla Merkel. Eppure è su questi interessi piccini, sui bisogni delle famiglie che accendono il gas e la luce e pagano l'Imu, il micro dopo il macro, che si giocherà la seconda partita del premier.
Da ora in poi Draghi dovrà necessariamente scegliere chi scontentare. Non in termini filosofici, come con i nemici del green pass, ma dove fa più male, ovvero in tasca. Stabilire chi paga il conto (la classe media, i detentori di patrimoni, le aziende, le partite Iva, i percettori di reddito di cittadinanza...) non è cosa banale, sottende una politica, un'idea di Paese inevitabilmente più divisiva dell'annuncio «è il momento di dare soldi agli italiani, non di prenderli». Ma i «momenti» passano e ora è tempo di dare risposte, che - qualsiasi siano - verranno accolte con assai meno retorica e accondiscendenza sia dai partiti, sia dal «popolo». Quei «corvi» che nel Coriolano di Shakespeare a volte «entrano nel palazzo a beccare le aquile».
Un altro nobile rapace prima di lui, quel Mario Monti che nel 2011 ebbe un'accoglienza simile, finì spennato perché non seppe planare al livello delle esigenze reali degli italiani.
La speranza è che Draghi ne abbia fatto tesoro e che sappia resistere alla tentazione di scontentare sempre gli stessi. Ovvero la classe media, quella che apprezza le aquile, ma non non vuole essere la solita gallina dalle uova d'oro.
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