Nella mente delle madri killer: che cosa scatta nella loro testa

Dal piccolo Samuele fino a Loris Stival e alle gemelline di Gela, i figlicidi occupano spesso le pagine di cronaca dei giornali. Ma cosa spinge le mamme a uccidere i propri bambini? E cosa si nasconde dietro queste tragedie?

Nella mente delle madri killer: che cosa scatta nella loro testa

Mamme che uccidono i figli. Donne che scelgono, più o meno consapevolmente, di togliere la vita alla creatura venuta al mondo dal loro stesso ventre. Nel corso degli anni, la cronaca nera ha passato in rassegna una sequenza quasi convulsa di figlicidi con picchi di preoccupante recrudescenza in tempi recenti. Dal notorio caso di Cogne nel 2002 di cui fu vittima il piccolo Samuele Lorenzi, al delitto di Santa Croce Camerina in cui morì Loris Stival, passando per il duplice omicidio di Gela del 2016 nel quale persero la vita le sorelline Maria Sofia e Gaia: è un repertorio che non lascia scampo all'orrore e allo sconcerto. Ma chi sono le "mamme killer''? Perché uccidono i figli? "Non c'è una vera e propria spiegazione. Per certo, c'è di fondo una grande sofferenza che, talvolta, resta inascoltata", spiega la professoressa Isabella Merzagora, ordinario di Criminologia e presidente della Società Italiana di Criminologia, a IlGiornale.it.

Le statistiche

Centocinquantotto omicidi in famiglia, uno ogni 55 ore. E in 19 casi le vittime sono i figli. Gli ultimi dati divulgati dall'Eures (Ricerche Economiche e Sociali), aggiornati al 2019, confermano come gli omicidi in ambito familiare (family e intimate homicide) rappresentino in tendenza poco meno della metà di quelli totali. Lo scorso anno gli omicidi in famiglia sono stati 75 al Nord, 30 al Centro e 54 al Sud, complessivamente il 10,2% in meno rispetto ai 176 dell’anno precedente (2018): ma le vittime degli ultimi quattro anni in totale ammontano a 682. Per quanto concerne il caso specifico dei figlicidi, essi rappresentano circa il 12% del totale. Tra il 2016 e il 2019 quelli con due vittime sono stati 82 (7 nell'ultimo anno), quelli con tre o più vittime 30. L'arma più usata si conferma l'arma da taglio (31,7%), seguita da quella da fuoco (27%), dal soffocamento/strangolamento (15%), mentre la divisione in base alla fascia d'età rileva che ben 67 delle 682 vittime degli ultimi quattro anni - una su 10 - erano minorenni, e di questi 42 (il 6,2%) aveva meno di 5 anni.

L'aspetto psicologico

Un delitto atroce, umanamente impensabile e impossibile da accettare. Il figlicidio, cioè l'uccisione di un figlio da parte di uno dei genitori, è "l'atto anti-natura per eccellenza", spiega a IlGiornale.it la psicologa forense Francesca De Rinaldis. E quando è la madre a trasformarsi in assassina, l'omicidio assume contorni ancor più incomprensibili: "Sono pochi i delitti in grado di destabilizzarci e colpirci così in profondità - continua la dottoressa De Rinaldis - perché sembra assurdo che la mamma possa riversare la propria aggressività contro quello che dovrebbe essere il suo principale oggetto d'amore". Ma cosa succede nella mente delle madri che arrivano a uccidere il proprio figlio? Una causa generica che possa portare a questo atto non esiste, perché il motivo risiede "nella peculiarità di ogni singola storia, di ogni caratterizzazione della personalità: lì si celano le motivazioni che spingono una mamma a compiere questo gesto". È possibile che la donna presenti un disagio relativo al proprio vissuto, "con sfumature di tipo patologico molto accentuate", che possono indurla a uccidere il proprio figlio. Ma "quello che accade nella mente di una mamma assassina risente molto del motivo per il quale la mamma desidera in maniera più o meno cosciente liberarsi del bambino".

Lo psichiatra Philip Resnick, uno dei più importanti studiosi dell'argomento, individuò 5 tipi di figlicidio, basandosi sulle motivazioni che spingono il genitore a commettere il delitto. Una madre può decidere di porre fine alla vita del figlio malato per salvarlo dalle sofferenze (figlicidio altruistico), perché il bambino non era stato desiderato, o per ripicca nei confronti del coniuge. Si inserisce in quest'ultima fattispecie la sindrome di Medea, derivata dal mito greco, con cui si indicano i genitori che uccidono i propri figli per punire il coniuge: "Si tratta di un meccanismo di spostamento dell'aggressività - spiega la psicologa De Rinaldis - la donna punisce il padre (o viceversa) con l'uccisione dei figli, che sono visti come strumento di vendetta nei confronti dell’altro". Infine, Resnick riconosce altre due fattispecie di figlicidi: quello a elevata componente psicotica, che avviene quando il genitore è in preda a un raptus, e quello accidentale.

Come spiega la psicologa De Rinaldis, è possibile che nel momento in cui la madre compie il delitto "subentri una disagio psico-patologico consistente, per cui il figlio non è più un oggetto d'amore, ma un oggetto persecutorio", che induce la donna a ucciderlo "per inviare un messaggio forte all'esterno o perché considera la presenza del bimbo un impedimento alla realizzazione di sé e della propria individualità". In questo caso, precisa l'esperta, si tratta di "contesti caratterizzati da un vissuto di sofferenza di natura patologica". Ma c'è un'altra eventualità: "Il dato allarmante è che esistono donne che sono perfettamente consapevoli e coscienti di quello che fanno". Oltre alle madri che agiscono in preda a disturbi psicotici e che al momento del fatto non sono completamente coscienti delle loro azioni, infatti, ci sono anche donne che "agiscono con lucidità, premeditano e organizzano l'atto e sono completamenti coscienti di quello che fanno quando lo fanno".

Dopo il delitto, spesso "intervengono meccanismi secondari di rimozione, perché prendere coscienza di aver fatto un'azione così tremenda porterebbe a profondi sentimenti di autoaccusa, che potrebbero essere intollerabili per la persona stessa. Si tratta di un meccanismo di autodifesa che serve a preservare la mamma stessa dalla brutalità di quello che ha fatto e dalle conseguenze che potrebbero derivarne". Secondo la professoressa Merzagora, una volta acquisita consapevolezza "altissimo è anche il rischio che le madri possano fare del male a se stesse, autocondannandosi".

Gli aspetti criminologici

Se la dinamica psicopatologica del figlicidio risulta articolata e complessa, non lo è da meno quella criminologica. "Nel corso della mia carriera, in qualità di Psichiatra e di perito, ho visitato 18 mamme figlicide, 13 delle quali erano recluse nella struttura di Castiglione delle Stiviere. E posso garantire che le ragioni sottendenti il figlicidio possono essere le più svariate", racconta il professor Vincenzo Mastronardi, criminologo forense di conclamata fama, che nel 2007 ha pubblicato un libro dal titolo Madri che Uccidono, in cui sviscera gli aspetti inesplorati dell'infanticidio, e già nel 2005 con George Palermo Il Profilo criminologico.

"Dal punto di vista criminologico, è possibile tipizzare le mamme figlicida in almeno 20 categorie. Le prime 10 - continua Mastronardi - comportano la franca imputabilità per stressor event, per pietas, per immaturità della madre, perché trattasi di bambino iperattivo, perché figlio della colpa, per sindrome di Medea, per disturbo dipendente, narcisistico oppure istrionico di personalità, perché figlio indesiderato, per depressione, per disturbi comportamentali legati all’assunzione di droga e poi, lì dove può sussistere compromissione dell’imputabilità, per psicosi post partum (normalmente del disturbo psicotico breve), fundus isterico (di natura isterica) più fattori precipitanti, depressione maggiore (una forma di depressione caratterizzata da tristezza profonda e costante, ndr), schizofrenia, stato crepuscolare oniroide (la persona conserva un orientamento spazio-temporale ''normale'' pur soffrendo di deliri e allucinazioni, ndr), disturbo psicotico dovuto a una condizione medica generale (una malattia che si manifesta con deliri e allucinazioni), epilessia, oligofrenia (un tipo di ritardo mentale che si acquisisce nella prima infanzia, ndr) e personalità multipla, anche se quest’ultima comparirebbe come abbastanza raramente".

Molto interessante è anche la disamina relativa ai dati del reato, ovvero agli elementi statistici rilevati dal professor Mastronardi mediante l'analisi dei diversi casi di figlicidio. "Nella maggior parte dei casi presi in considerazione nella mia ricerca, si tratta di omicidio di un unico bambino (61%) o di tentato omicidio sempre di un unico bambino (24%); nel 6% dei casi vi sono più vittime. Il delitto si consuma in casa (85%) o all’aperto (11%). Tra i luoghi dell’abitazione dove si svolge l'omicidio vi sono il bagno (64%), la camera da letto (20%) e la sala da pranzo". Anche le modalità lesive, ossia le cause criminali della dinamica criminale della morte, possono essere di tipologie differenti. "Sono diverse e varie - chiarisce il criminologo forense - Dall'annegamento e soffocamento (questo in caso di bambini molti piccoli) all'utilizzo di un'arma da punta e da taglio. Poi vi sono la defenestrazione, lo strangolamento e in bassissima percentuale il ricorso a un'arma da fuoco (4%)".

Mamme che uccidono, quindi, in preda a un impeto di rabbia o con cinica freddezza. Ma come si presenta la scena del crimine? "Quando le vittime vengono ritrovate, se vengono ritrovate, - spiega il professor Mastromardi - i corpi sono generalmente occultati, per esempio protetti da una coperta quasi a proteggerli per l’ultima volta o a negare a se stessi di averlo fatto. Ma si badi a precisare che queste mamme non effettuano staging per gabbare la polizia, lo fanno per abbassare l'impatto criminologico del reato che hanno commesso. Il figlicidio ha una dinamica molto complessa, anche sotto questo profilo, e che non si esaurisce con il racconto di un solo caso di cronaca".

È possibile prevenire un figlicidio?

Ci sono alcuni meccanismi di prevenzione che, se affinati, potrebbero aiutare le madri a non spingersi fino all'uccisione del figlio. Innanzi tutto, specifica la psicologa Francesca De Rinaldis, sarebbe importante "rendere più praticabile la possibilità di accedere a supporti psicologici. Per molti la psicologia rappresenta ancora un tabù e questo rende molto difficile la possibilità di avvicinarsi alla cura e di chiedere aiuto, perché spesso si teme l'etichettamento o un giudizio negativo". La professoressa Merzagora fa riferimento anche alla sottovalutazione che spesso accompagna il disturbo psicologico: "In generale, tutte le persone sono portate a sottovalutare la malattia mentale di un proprio caro. La malattia fisica la si ammette, la malattia mentale no. Di solito si glissa con espressioni del tipo 'è un po' strana, è un po' giù e poco socievole'. E invece le situazioni di grave sofferenza psichica vanno intercettate. Sono più che sottovalutate, sono rinnegate". Un altro meccanismo che può aiutare a prevenire il figlicidio è, secondo la psicologa De Rinaldis, "un'attenzione psico-pedagogica alla famiglia e alle sue criticità. È necessario affinare gli strumenti di ascolto e di intervento ai bisogni delle famiglie".

Inoltre ci sono dei "campanelli d'allarme" che possono precedere il gesto estremo dell'omicidio del proprio figlio. Si tratta di "situazioni a rischio", legate spesso al vissuto della madre e al contesto ambientale in cui vive la famiglia. Spesso, dietro le mamme killer si nascondono "vissuti di vuoto e solitudine esistenziale", che non deve essere intesa come l'essere soli, ma come una "incapacità da parte della madre di comunicare con l'ambiente esterno o con la presenza di un ambiente affettivo che non sia in grado di essere un adeguato supporto al disagio e alle esigenze della donna". Tuttavia, questi segnali premonitori dipendono molto da persona a persona, a seconda della motivazione alla base del disagio e dell'ambiente che circonda la donna. Inoltre, non è sempre semplice cogliere i campanelli d'allarme: da una parte "non tutte le persone che vivono un disagio psico-patologico lo manifestato all'esterno", dall'altra non sempre è presente un "contesto ambientale di riferimento in grado di cogliere i segnali e leggerli".

Come viene punito il figlicidio

Nell'ordinamento penale italiano non esiste il reato specifico di figlicidio. L'uccisione dei propri figli, infatti, viene configurata come infanticidio o omicidio, reati regolati dagli articoli 575 e 578 del Codice Penale. Nel primo caso a compiere il delitto è esclusivamente la madre che "cagiona la morte del proprio neonato immediatamente dopo il parto, o del feto durante il parto". Quando l'atto è "determinato da condizioni di abbandono materiale e morale connesse al parto", come difficoltà economiche e mancanza di assistenza, la pena è la reclusione da 4 a 12 anni. Nell'infanticidio la donna commette il delitto immediatamente dopo il parto: la pena infatti è calcolata tenendo conto del "perturbamento psichico conseguente al parto". Nel caso in cui concorrano al delitto altre persone, la pena per i soggetti estranei rientra in quella dell'omicidio, a meno che "non abbiano agito per favorire la madre".

Il secondo reato a cui si rifà il figlicidio è l'omicidio, regolato dall'articolo 575 del Codice Penale, secondo cui "chiunque cagiona la morte di un uomo è punito con la reclusione non inferiore ai 21 anni". A meno che non sia appena nato, quindi, l'uccisione di un bambino da parte di un genitore è omicidio. La pena minima è pari a 21 anni di carcere, ma esistono circostanze aggravanti che possono portare il giudice a decidere di infliggere l'ergastolo.

In particolare, stando all'articolo 576 del Codice Penale, l'ergastolo si applica nel caso in cui il delitto sia stato commesso "contro l'ascendente o il discendente, quando concorre taluna delle circostanze indicate nei numeri 1 e 4 dell'articolo 61 o quando è adoperato un mezzo venefico o un altro mezzo insidioso ovvero quando vi è premeditazione".

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