Due notizie troppo silenziose e una rumorosa (che non c'è)

Il discorso pubblico: così la stampa affronta tre notizie molto differenti tra loro

Due notizie troppo silenziose e una rumorosa (che non c'è)
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L'ossessione europea per l'islamofobia, poi le carceri italiane che sono peggio di quelle ungheresi, infine le indiscrezioni su Arianna Meloni: ossia due notizie notevoli ma in puntuale ritardo, deflagrate nel nulla e assenti dal dibattito, più una terza che non c'è, ma che tiene banco tutti i giorni, anche se un ruolo della sorella del presidente del Consiglio nel fare e disfare nomine, nei fatti, resta indimostrato e ogni volta è puntualmente smentito. Anche questo è un modo per tastare il polso alla stampa italiana: due notizie, ripetiamo, che esistono, ma che sono ignorate, più una che non esiste ma che alcuni giornali si preoccupano di vellicare, auspicare, magari mettere sotto il faro di qualche procura.

Aggiungiamo qualche dettaglio.

1) La prima «notizia» compare sul Corriere della Sera che è il primo quotidiano italiano, è nello spazio dell'editoriale e perciò esprime la linea del giornale, scritta da Ernesto Galli della Loggia. È un corsivo titolato «Si è perso il senso della realtà» ed è criticabile al solito modo: tende a fotografare il presente quando è già passato (accade in Fisica, ma anche in Storia) ed esce dalle retrovie dopo che altri (Il Giornale tra questi) si è esposto in prima linea beccandosi tutte le granate anche giudiziarie del caso. Ora, probabilmente, nessuno querelerà Galli della Loggia per istigazione all'odio, come invece è capitato ad altri, anche se le sue parole iper-prudenti e tarate più del solito (a dimostrazione che l'islamofobia è anzitutto un'autocensura, una fobia dello scrivere) ora si rivolgono a fatti che «tendiamo a nascondere» e a non vedere e parlano di un mainstream che sull'Islam adotta un «criterio dei due pesi e due misure che in tutto l'Occidente è ormai la regola»: spiegano che l'uccisione di una donna in Italia ha un'eco mediatica non paragonabile alla quotidiana privazione dei diritti e alla selvaggia persecuzione fisica che colpisce milioni di donne in quasi tutti i Paesi islamici, osservano che nei talk televisivi si depreca paradossalmente una nostra «cultura patriarcale» ma si rimuove quella che sicuramente alligna in gran parte dell'Islam, magari in paesi nei quali ai cristiani è vietato l'esercizio del culto e sono costantemente in pericolo per via unicamente della loro fede: cioè arsi vivi, seviziati, massacrati, eppure nessuno parla di «cristianofobia». E nessuno, ora, al dunque, ha ripreso l'editoriale del primo quotidiano italiano: anche se ha rilevato aspetti che in altri momenti, forse, avrebbero fatto gridare al razzismo, o peggio, nel caso il governo stesse affrontando il tema, al fascismo.

2) La seconda notizia serpeggia su tutti i maggiori quotidiani, ma lo fa, ora e non prima, per mettere in difficoltà il governo impegnato nel legiferare sulle carceri: si snocciolano dati sui nostri penitenziari e si dimostra in altre parole che sono messi assai peggio di quelli ungheresi, quelli che ospitavano l'ex detenuta Ilaria Salis: ma quando, con dati e cifre, lo scrisse per esempio Il Giornale (1° marzo e 6 aprile) nessuno o quasi badò al dettaglio che in Italia, quanto a carcere preventivo, abbiamo il record europeo, tutti semmai demonizzarono i vetusti schiavettoni imposti alla Salis in Ungheria (dimenticando che quelli italiani sono praticamente analoghi, con la sola differenza che è vietato mostrarli sui media) e nessuno, ancora, rilevò che il sovraffollamento carcerario in Ungheria era del 102 per cento ma da noi era del 119, e nessuno ricordò le svariate sanzioni imposte a entrambi gli stati dalla Corte europea dei diritti dell'uomo. Oltre ai tempi della Giustizia, in Italia c'è anche il problema dei tempi del giornalismo.

3) Eccoci infine alla notizia che tutti riprendono e di cui tutti parlano, pur avendo un lieve difetto: non c'è. È una notizia a proposito della quale Repubblica, circa Arianna Meloni e il suo presunto potere su varie nomine, ieri titolava «È lei il vero motore del nostro partito»; le fonti citate erano «un senatore» (chi?) e poi «un deputato» (chi?) e ancora un generico «raccontano che» (due volte).

Su La Stampa, invece, si scriveva che «Arianna, pur mantenendosi molto riservata, sa qualcosa di tutto, a prescindere dalla sua partecipazione a riunioni strategiche, perché così funziona un partito familiare». Chiaro. Quando qualcuno «sa qualcosa di tutto», beh, puoi scriverne di tutto, e poi chissà, puoi persino indagarla su tutto.

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