Il governo sta cercando, e fa bene, di mettere un argine agli aumenti dell'energia elettrica. È un paradosso, a pensarci bene, che in questo momento di boom dell'elettrificazione, il suo costo diventi un problema internazionale. O forse è inevitabile. Pensate un po' voi se gli aumenti del 40 per cento fossero caduti in un mercato dell'auto totalmente elettrica, come impone la Commissione europea. Ma questo è un altro discorso. La diversificazione delle fonti di generazione avrebbe potuto togliere pressione e via dicendo.
Ritorniamo ad oggi. E vediamo cosa sta succedendo. Tra il 2020 e il 2021 il prezzo del gas è triplicato e di conseguenza l'aumento si è riverberato sull'energia elettrica. Ci sono quattro ragioni fondamentali per questo balzo. Ovviamente la prima riguarda la ripresa economica, che sta correndo. Avremmo potuto, quando il Pil scendeva, riempire i nostri depositi di gas. Lo abbiamo fatto solo parzialmente e ora ne paghiamo lo scotto, per motivi che però non riguardano il Covid. Nonostante i climatisti continuino a urlare al riscaldamento del pianeta, oggi il gas costa molto, anche perché l'inverno scorso le temperature sono state sotto la media (seconda ragione dei rincari). Favoloso paradosso. L'Asia inoltre sta richiedendo molta più materia prima del previsto e la Russia ne esporta meno del dovuto. Una tempesta perfetta, che però solo in parte deriva dai cambiamenti climatici e molto di più è conseguente a scelte geopolitiche.
Poi ci si mette la follia umana. E questa riguarda i meccanismi di controllo delle emissioni di CO2. Gli obiettivi europei sono talmente «ambiziosi» che il prezzo dei diritti ad emettere CO2 sono raddoppiati in un solo anno.
Ricapitolando i prezzi del gas sono aumentati del 200 per cento e quelli di emissione del 100 per cento. In un impianto termoelettrico, quello che brucia gas e vi fornisce elettricità, il costo della generazione è composto all'80 per cento dal valore della materia prima e al 20 per cento dall'onere per le emissioni. Nel momento in cui la componente fondamentale per produrre l'elettricità va alle stelle, noi contribuiamo a rendere la cosa ancora più grave, facendo scaldare anche il prezzo della componente emissione.
Se lo dite ad uno studente del primo anno di economia si mette le mani nei capelli. Nel nostro mondo tutto gira con l'elettricità: il suo incremento, soprattutto se duraturo, alza il livello dei prezzi in modo generalizzato e inflattivo. Pensate come è congegnato male il sistema. Oggi produrre energia elettrica con il carbone, che piace tanto ai tedeschi, e che emette molta più CO2 del gas, costa meno che bruciare gas.
Qualcuno dovrà pur svegliarsi per dire che questo marchingegno pro-ciclico (più sale il prezzo del gas e più sale il prezzo delle altre componenti) è folle, per il fini stessi anti-inquinamento che si sono posti gli ambientalisti.
Ma non basta. La Spagna si è inventata un meccanismo ancora più folle e che rischia di prendere piede. Una tassazione aggiuntiva, semplifichiamo, per i produttori di energia elettrica (Endesa, ma non solo). La tesi è che la generazione da fonti rinnovabili (idroelettrico in primis) non dovendo pagare il costo rincarato delle materie prime e non dovendo comprare certificati verdi fa dei margini colossali che vengono definiti extraprofitti. Il che è vero. Ma è esattamente ciò che dovrebbe valere in un gioco corretto di incentivi e disincentivi. Guadagnare di più con l'energia verde, magari senza scaricare oneri impropri per la sua incentivazione sulla collettività, non è forse il modo migliore per renderla strutturalmente più diffusa?
Alla fine di tutto c'è il consumatore, la piccola e grande impresa, imbottiti di ideologia verde e di sostenibilità (tutte cose comprensibili, chi vuole
inquinare l'unico pianeta di cui disponiamo?). Ma che rischiano di rimanere stritolati da regole e meccanismi tariffari pensati per una decrescita infelice, più che per salvare il pianeta compresi i suoi temporanei inquilini.
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