Ogni anno un lombardo sa che dovrà versare allo Stato 5.217 euro che non vedrà più tornare indietro. Ogni anno un sardo sa che percepirà 3.169 euro in più rispetto a quanto ha pagato. La disuguaglianza territoriale italiana sta tutta in queste due cifre. Ci sono cittadini che pagano allo Stato più tasse rispetto a quanto lo Stato investe sul loro territorio e c'è chi vede tornare sotto forma di investimenti o spesa pubblica sul proprio territorio più soldi rispetto alle tasse che ha pagato. La decennale discussione sul famoso «residuo fiscale», alla base della decisione della Lombardia e del Veneto di promuovere un referendum per chiedere maggiore autonomia, potrebbe finire qui.
È chiaro che né Roberto Maroni né Luca Zaia pensa di poter ottenere dallo Stato che tutta la differenza tra quanto versato e quanto lo Stato investe sul territorio possa essere trattenuta nelle casse delle due Regioni. Anche perché si tratta di una massa gigantesca di soldi: 54 miliardi nel caso della Lombardia e quasi 15,5 nel caso del Veneto secondo i calcoli di Eupolis, il centro di ricerca della Regione Lombardia i cui dati non sono stati smentiti. L'idea che sta alla base del referendum è che se i soldi sono gestiti a livello locale, in ossequio al principio di sussidiarietà, sono gestiti meglio e, quindi, gli stessi servizi che ora sono finanziati centralmente, possono essere realizzati meglio, e spendendo meno, se a fornirli è l'ente locale. Ovviamente non c'è la prova matematica che lasciare i soldi dove questi vengono «prodotti» migliori la qualità dei servizi ai cittadini. Però... c'è un però, ed è la sanità. Il sito Truenumbers.it ha pubblicato i dati ufficiali del ministero della Sanità secondo i quali la Lombardia attira ogni anno circa 38mila persone che lasciano la loro Regione per farsi curare negli ospedali lombardi. L'Emilia Romagna ne accoglie 25mila, la Toscana 12.300 e il Veneto circa 3.900. Siccome la spesa sanitaria è quasi interamente regionalizzata, questi dati dicono che le Regioni, se ben amministrate, spendono così bene le risorse che non si limitano ad offrire un servizio d'eccellenza ai propri cittadini, ma anche a decine di migliaia di italiani di altre Regioni. La sfida di Maroni e Zaia è di provare a dimostrare che l'eccellenza raggiunta nel settore della sanità pubblica può essere raggiunta anche, per esempio, nel settore degli incentivi alle imprese o negli investimenti infrastrutturali lasciando comunque una quota di tasse allo Stato centrale per assicurare la perequazione finanziaria a favore delle Regioni del Sud. Le quali, nessuna esclusa, hanno tutte residui fiscali positivi, ovvero, il territorio incassa più soldi dallo Stato in termini di investimenti e spesa pubblica rispetto a quanto ha pagato in termini di tasse.
Facciamo due conti. I più beneficiati dalla situazione attuale sono i sardi, nella cui Regione lo Stato spende 3.169 euro in più per ogni cittadino rispetto a quanto quel cittadino ha pagato di tasse, poi i calabresi, con 2.975 euro, i lucani, con 2.192, e così via. Sempre in termini procapite, i più penalizzati sono i lombardi che, come abbiamo visto, lasciano a Roma 5.217 euro l'anno, seguiti dagli emiliano-romagnoli, 4.239 euro, e dai veneti, con i loro 3.141 euro. Quasi in pari tra il dare e l'avere sono gli umbri: ottengono dallo Stato solo 92 euro a testa in più di quanto pagano.
Il fatto che la Sicilia incassi oltre 10 miliardi di euro l'anno in trasferimenti e investimenti statali ha un qualche effetto concreto in termini di maggiore uguaglianza? Clamorosamente no. La Sicilia è la Regione all'interno della quale i cittadini sono più diseguali. Stupefacente. Nonostante 10 miliardi di trasferimenti annui le fasce più disagiate della Sicilia restano disagiate e le fasce più ricche della popolazione restano ricche. I soldi prodotti al Nord e trasferiti al Sud non modificano la struttura sociale della Regione. Ma ancora più clamoroso è che la Regione con meno disuguaglianza interna sia proprio il Veneto (la Lombardia è a metà classifica).
Cosa significa? Significa che continuare a versare soldi da Nord a Sud può rendere una Regione beneficiaria più ricca (o meno povera), ma non risolve il problema dello sviluppo, unico mezzo per diminuire le distanze sociali. Se non si ha il coraggio di interrompere il viavai di soldi dal Nord al Centro e dal Centro al Sud, si abbia almeno il buon senso di lasciare che chi sa fare, faccia da solo.
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