Faceva prostituire da anni le figlie minorenni: l'orrore della romena

Una quarantaquattrenne romena residente a Genova è stata condannata a 10 anni e 8 mesi di reclusione per prostituzione minorile aggravata: faceva prostituire due delle sue tre figlie quando erano ancora minorenni, costringendole anche ad avere rapporti sessuali non protetti su richiesta dei clienti

Una prostituta in strada (foto di repertorio)
Una prostituta in strada (foto di repertorio)

Faceva prostituire le figlie quando erano ancora minorenni, con la complicità del compagno che le accompagnava agli incontri. E talvolta, quando i guadagni non raggiungevano le aspettative, le costringeva ad avere rapporti sessuali non protetti con i clienti, perché avrebbero pagato di più. Protagonista della vicenda è una donna di quarantaquattro anni originaria della Romania, condannata nelle scorse ore con rito abbreviato a 10 anni e 8 mesi di reclusione dal tribunale di Genova per prostituzione minorile aggravata.

Una vicenda che arriva dal capoluogo ligure e che, stando a quanto riportato dai media locali, ha conosciuto il suo acme fra il 2020 e il 2021. La donna venne arrestata lo scorso anno con l'accusa poi confermata dal giudice, a seguito delle indagini condotte dalla squadra mobile. A destare i primi sospetti sono stati anche i due tentativi della figlia quindicenne della romena, che hanno fatto emergere una storia dai contorni divenuti via via sempre più allucinanti: la ragazza ha tentato di scappare di casa perché veniva costretta a prostituirsi insieme alla sorella maggiore (di poco più grande, ma nemmeno lei maggiorenne al tempo dei fatti).

Ed era proprio la madre, d'intesa con il compagno di sessantasei anni, a gestire tutto: pubblicava a nome loro annunci sui siti d'incontri spacciandole per ventenni, organizzava gli appuntamenti con la clientela e contrattava in prima persona il prezzo per ogni singola prestazione sessuale. I poliziotti hanno poi scoperto che la quarantaquattrenne contava persino i preservativi che consegnava alla figlia maggiore per capire quante prestazioni quest'ultima portasse a termine in un giorno: non si trattava di una precauzione per evitare che contraesse malattie veneree, ma di uno stratagemma per far sì che nessun altro potesse mettersi in tasca il compenso pattuito. Anche perché a volte lei stessa spingeva le eredi a fare sesso senza profilattico, quando era certa che il cliente le avrebbe corrisposto una somma più alta.

Sembra poi che per ottimizzare i tempi ed impegnare in contemporanea entrambe le ragazzine, invitasse a rotazione una di loro a ricevere i paganti presso lo stesso appartamento di Sampierdarena nel quale vivevano, mentre l'altra lavorava sul marciapiede o a domicilio. Un lungo calvario durato quasi tre anni e che sarebbe stato risparmiato soltanto alla terza figlia della donna, ancor più piccola delle sorelle.

Quest'ultima, insieme alla sorella mediana, si trova adesso in una comunità protetta. E il prossimo 10 gennaio si aprirà il processo con rito ordinario al patrigno, con il sessantaseienne che dovrà rispondere della stessa accusa per la quale è stata condannata la compagna.

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