Fecondazione eterologa, primo ricorso alla Consulta da parte di una coppia gay

Il Tribunale di Pordenone ha accolto la richiesta di una coppia di donne omosessuali di sollevare davanti alla Consulta la questione di legittimità costituzionale delle norme che vietano l'accesso alla procreazione assistita alle coppie gay

Fecondazione eterologa, primo ricorso alla Consulta da parte di una coppia gay

Un nuovo ricorso sulla legge 40 (fecondazione assistita) arriva alla Corte costituzionale. Stavolta riguarda una coppia formata da due donne, cui a Pordenone è stato rifiutato l'accesso alle tecniche di fecondazione artificiale. Il Tribunale di Pordenone, tramite il giudice Maria Paola Costa, ha accolto la richiesta delle donne di sollevare la questione di legittimità costituzionale delle norme che attualmente vietano in Italia l’accesso alla procreazione medicalmente assistita anche alle coppie omosessuali. Sulla legge ora si dovrà pronunciare la Corte Costituzionale.

Alla coppia, scrive il Messaggero Veneto, era stato rifiutato l’accesso alle tecniche di fecondazione artificiale dal Servizio per i trattamenti di procreazione medicalmente assistita presente nell’Azienda Sanitaria 5 di Pordenone, proprio in base a quanto prevede la normativa, che vieta "l’accesso alla provetta" alle coppie gay ma anche ai single.

Le due donne non si sono arrese e hanno chiesto al giudice, qualora non fosse stato possibile in via diretta (mediante un’interpretazione costituzionalmente orientata), di superare il rifiuto dell’Azienda Sanitaria, investendo della questione la Corte Costituzionale, al fine di dichiarare l’incostituzionalità del divieto. Il giudice ha ritenuto rilevante e non manifestamente infondata la questione posta dall'avvocato della coppia, rilevando il contrasto del divieto con alcuni articoli della Costituzione (relativi ai diritti degli individui e alla loro uguaglianza innanzi alla legge) nonché con l’articolo 117 comma 1 della Costituzione (che prevede il rispetto dei vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali) in relazione agli articoli 8 e 14 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti umani e delle libertà fondamentali (Cedu), il primo incentrato sul diritto al rispetto della vita privata e familiare, il secondo sul divieto di discriminazione.

"Sarà ora la Corte Costituzionale - ha commentato l’avvocato Maria Antonia Pili, legale delle ricorrenti - a pronunciarsi su tale

discriminazione basata esclusivamente sull’orientamento sessuale delle persone, ormai intollerabile anche nel nostro paese dati i precedenti sia legislativi sia giurisprudenziali intervenuti in tale ambito".

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