Forse, un peso determinante l'hanno avuto le confessioni di Cesare Battisti. Quando l'hanno finalmente acciuffato, dopo una fuga rocambolesca e interminabile in mezzo mondo, l'ex terrorista dei Pac ha confessato i suoi crimini: non era una vittima della polizia canaglia tricolore, ma un soldato in guerra contro lo Stato. Uno che aveva sparato e ucciso. Game over.
Altro che scrittore perseguitato a Milano e coccolato a Parigi da un chilometrico parterre de roi di scrittori, giornalisti, politici, intellettuali. Tutti accecati dal pregiudizio e dalla propria abbagliante ignoranza, spacciata per alta accademia. Tutti pronti a idealizzare quella catena orrenda di delitti, agguati e aggressioni in una lotta coraggiosa contro le ingiustizie, le storture, le disuguaglianze della nostra società.
Tutti, soprattutto, lontanissimi dal riconoscere quel che era accaduto, e ostinati nel costruire una bolla dentro cui ambientare la favola del terrorismo tricolore che l'Italia avrebbe combattuto e vinto con leggi speciali, torture e metodi sudamericani, sacrificando i diritti e le garanzie alla più sporca delle guerre.
Sappiamo che non è andata così: che i processi si sono fatti con i sacri crismi e anzi c'era il terrore di finire nelle giurie popolari delle corti d'assise, esponendosi a ritorsioni e rappresaglie. Sappiamo che l'eversione è stata sconfitta nel rispetto delle regole democratiche. Sappiamo anche che in Francia un paio di generazioni di pistoleri sciagurati sono state protette e quasi idealizzate oltre ogni vergogna. C'era quell'alone di romanticismo - come l'ha chiamato Marc Lazar in un'intervista a Repubblica - che tutto tollerava e capovolgeva, in un susseguirsi di bugie e travisamenti senza fine.
La patria dell'Illuminismo e dei diritti umani leggeva con gli occhiali dell'ideologia e dell'orgoglio pagine di storia intrise di dolore, di sofferenza, di umiliazioni.
C'era la dottrina Mitterrand, formulata con la giusta ambiguità negli anni Ottanta dall'Eliseo: «Diamo asilo, salvo a chi ha commesso fatti di sangue». Frase detta nella sua coda in modo intermittente e mai diventata realtà.
Quelle foto in bianco e nero dei duecento e passa ricercati sono invecchiate con noi, in un eterno girotondo, fra memoria e impotenza. Si sono persi decenni e molta credibilità perché quel che qua appariva persino banale nella sua semplicità, di là assumeva, fra le menti raffinate della gauche e non solo, altri significati: come se l'Italia dovesse farsi perdonare un qualche peccato originale e fosse fuori discussione il no ad ogni estradizione.
I muri dell'Europa sono caduti uno a uno, ma quello che correva sulle Alpi ha resistito alla dialettica fra destra e sinistra e pure al tarlo del tempo.
Ci sono state mezze svolte, annunciate e puntualmente naufragate, ma nulla è cambiato per anni e anni, con la grancassa dell'indignazione sempre veloce nel far sentire ogni volta la stessa colonna sonora e nel seguire lo spartito della nostalgia e della controdenuncia di chissà quali anomalie e forzature del nostro sistema. C'era stata, eccezione solitaria, l'estradizione di Paolo Persichetti, l'unico ad essere rispedito nel nostro Paese.
Ci voleva un Macron, lontano dagli schemi della vecchia Francia, per rompere quel meccanismo. Forse hanno contato i nuovi equilibri e speriamo i nuovi valori dell'Europa, l'asse Roma-Parigi, con l'avvento di Draghi e il declino, almeno temporaneo, di Berlino.
Finalmente Parigi abbandona quel nucleo di leggende e voci, quell'epopea di cartapesta alimentata dai profeti della cultura e dalla superbia dei suoi leader. Nelle scorse settimane l'ex presidente brasiliano Lula aveva chiesto scusa, per aver concesso la grazia l'ultimo giorno del suo mandato proprio a Battisti, promosso sul campo - equivoco doloroso e inammissibile - rifugiato politico. Come solo qualche giorno fa Le Monde aveva battezzato, con una spolverata di romanticismo fuori tempo massimo, «esuli politici» quella pattuglia di latitanti.
A Parigi hanno agito nel segno della concretezza:
via gli scudi che tutelavano i vecchi compagni che hanno sbagliato, e invece le manette ai polsi di quelle foto ingiallite. Parigi apre gli occhi, l'Italia invece prova a chiudere i conti con il suo passato.Stefano Zurlo
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