Un bazar della droga nel quartiere dove citofonò Salvini: gli sporchi affari degli stranieri

Cinque tunisini sono stati arrestati dai carabinieri a Bologna con l'accusa di traffico e spaccio di sostanze stupefacenti: secondo gli inquirenti, avevano messo in piedi un sistema rodato nel quartiere bolognese del Pilastro

Una pattuglia dei carabinieri a Bologna
Una pattuglia dei carabinieri a Bologna

La zona ebbe un momento di notorietà nazionale poco più di due anni fa, quando il segretario della Lega Matteo Salvini citofonò a favore di telecamera a una famiglia tunisina chiedendo se fra loro vi fosse uno spacciatore. E se alcuni membri di quello stesso nucleo familiare finirono poi realmente nei guai per spaccio, i carabinieri hanno provveduto nelle scorse ore ad arrestare cinque uomini originari della Tunisia con l'accusa di traffico e spaccio di sostanze stupefacenti nel quartiere bolognese del Pilastro.

Due di loro erano già in carcere per fatti analoghi e per tentato omicidio, mentre un terzo si trovava in regime di arresti domiciliari e un quarto straniero è stato intercettato all'aeroporto di Bologna dalla polizia di frontiera, una volta sceso dall'aereo che dal suo Paese lo aveva riportato in Italia. Per una donna, moglie di uno degli arrestati, è stato poi emesso un provvedimento di divieto di dimora nella Città metropolitana di Bologna. Stando a quanto riportato dai media locali, gli arresti sono giunti a coronamento di un'attività investigativa pluriennale, partendo da spunti emersi in un’indagine nata dal decesso per overdose di cocaina di una donna, avvenuta a Granarolo dell’Emilia (un paese dell'hinterland di Bologna) nell’aprile del 2019.

Risalendo alla fonte, i militari dell'Arma hanno quindi documentato circa 3mila cessioni di sostanze stupefacenti (fra cocaina, eroina e hashish) in tutta l'area oggetto di indagine tra ottobre 2019 e marzo 2020. E la "capitale dello spaccio" di droga, secondo gli inquirenti, era rappresentata proprio dal rione nel quale Salvini fece l'ormai nota "citofonata": la vendita al dettaglio delle dosi avveniva principalmente sulla pubblica via al Pilastro, divenuto un vero e proprio "bazar della droga", a ridosso dei portoni di ingresso ai condomini delle case popolari e anche all’interno di alcuni appartamenti.

Le forze dell'ordine hanno appurato come gli stranieri fermati avessero eletto a propria zona di spaccio quella porzione del capoluogo emiliano e non cedevano mai lo stupefacente in altri luoghi, in quanto forti del controllo e monitoraggio del territorio. In base alle ricostruzioni degli investigatori, avrebbero messo in piedi un sistema ben rodato: operavano infatti anche con l’aiuto di vedette pronte a segnalare l’arrivo delle forze dell’ordine e la sosta o il passaggio di volti nuovi o potenziali concorrenti sul mercato della droga. E non esitavano a delegare tali compiti a giovani e giovanissimi, talvolta minorenni.

In ultima analisi, l'uscita di Salvini in piena campagna elettorale per le elezioni regionali dell'Emilia - Romagna fece discutere, all'epoca. Ma si trattò comunque di un gesto effettuato a seguito delle segnalazioni dei residenti. E questi ultimi non avevano evidentemente tutti i torti, a posteriori.

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