Ammazza com'è largo il fronte antiolimpionico: da Salvini a Crozza passando per mezza Italia, più i soliti inglesi. L'argomentazione è inoppugnabile: ma come fa un Paese scassato come il nostro, incapace da anni di intraprendere un'opera pubblica di rilievo, in preda alla mafia e dintorni, a ospitare i Giochi olimpici, per giunta a Roma e Napoli? Verissimo, ma che dobbiamo fare a questo punto, rassegnarci a morire, spararci, accettare come ineluttabile il declino?
Questo Paese non si salva se non tenta una grande impresa. Il viatico ce l'offre un poeta pazzo e tedesco, Holderlin: «Là dove cresce il pericolo là cresce quel che salva». Bisogna costeggiare l'abisso per mettersi in salvo, non abbiamo altra scelta che il pericolo. Certo, Renzi è un formidabile annunciatore, tutta la sua carriera è fondata sull'annuncio e la ventata di ottimismo che produce, anche surreale, un po' puerile e tanto furbo.
Candidare Roma nel 2024 non vuol dire poi vincere, ma solo provarci e intanto incassare consenso sull'ennesimo trailer. Però tra gli spot un po' fanfaroni di Matteo, che perlomeno tirano su il morale all'Italia e le prospettano un futuro e gli annunci funebri di BeccaMonti che stroncò sul nascere la candidatura olimpionica dell'Italia per il 2020, preferisco il primo.
538em;">È come la scommessa secondo Pascal: col primo hai due possibilità, una, grande, di fallire, e una, piccola, di farcela e intanto rimetti in moto il Paese. Col secondo ne hai solo una: tentare di evitare il baratro scegliendo il feretro.
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