La grata di mozziconi cattura le nostre storie

La «grata» di Francesca Leone (in mostra alla Triennale di Milano fino al 18 ottobre) è piena di mozziconi di sigarette. In qualche caso, attorno al filtro, sono impresse tracce di rossetto. Quelle donne che fumavano chi erano? Dove andavano? Cosa pensavano? La grata di Leone (che, detta così, fa pensare alla gabbia di un artistico Circo Barnum) ha catturato un frammento della loro anima, imprigionandolo nell'interstizio metallico dell'inferno metropolitano.

Calpestando l'installazione di questa ragnatela di ferro, «impreziosita» di rifiuti (plastica, carta, chiavi, monete, sassi, rifiuti vari), la mente corre verso due possibili letture: la prima, superficiale, legata a un demagogico catastrofismo ambientale; la seconda, profonda, intimamente connessa alla palingenesi del tempo (senza tempo) delle storie universali: tutte diverse a modo loro, tutte «uguali» anche se rigorosamente declinate al singolare.

Ermanno Tedeschi, che firma l'introduzione al catalogo, parla di «un'opera unica che appaga l'occhio e contemporaneamente stimola il pensiero». Le 19 grate di Leone compongono un'unica installazione: «una grande piattaforma su cui lo spettatore può camminare, osservando ed entrando in reale interazione con l'opera».

«L'opera - spiega Leone - è stata realizzata con il contributo inconsapevole di centinaia di persone che hanno sparso per le strade rifiuti e oggetti e dalle fessure delle grate emergono le testimonianze del loro passaggio».

Insomma, Francesca Leone ci fa riflettere. E, in un mondo che pare solo saper urlare, non è cosa da poco. Il territorio attorno a noi si degrada. Siamo noi a degradarlo. Perché non abbiamo più rispetto delle nostre menti. Del nostro habitat. Naturale e umano.

Il progetto si intitola «Our Trash». Nei panni dell'artista, noi avremmo evitato la parola «trash», che fa parte di un'immondizia linguistica difficile da smaltire.

Ma forse la scelta lessicale di Leone non è casuale. Ci piace immaginare che voglia dirci: attenzione, una «via di fuga» è sempre possibile. Magari tra le strette maglie rettangolari di una grata. La grata della nostra coscienza.

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