Gregoretti, referendum e urne. Per Salvini in arrivo tre siluri

Gregoretti, referendum e urne. Per Salvini in arrivo tre siluri

Transatlantico di Montecitorio, ieri mattina. Da pochi minuti 4-5 senatori di Forza Italia, che avevano firmato il referendum confermativo sulla riduzione dei parlamentari, hanno fatto dietrofront e ritirato la firma. La sera prima Mara Carfagna, punto di riferimento di questo drappello azzurro guidato da Massimo Mallegni, ha avuto contatti con il Quirinale che gli ha confermato che con il referendum in piedi, in caso di crisi di governo, il capo dello Stato manderebbe il Paese alle urne con l'attuale legge che prevede ancora 630 deputati e 315 senatori: un argomento efficace in mano a Matteo Salvini, che punta alle elezioni in primavera, per convincere i recalcitranti al voto e per arruolare parlamentari promettendo collegi. «Qualche forzista confida Paolo Russo, carfagnano di ferro ha ceduto a queste false lusinghe, consigliato da qualche fan di Salvini di casa nostra. Il leader della Lega tratta Forza Italia come le grandi organizzazioni criminali i kosovari: quelle danno le armi ai kosovari per commettere i delitti più truci (nel nostro caso è uccidere la legislatura); poi gliele ritirano e li uccidono. Lo dice uno che ha un fratello nella Dia».

Via delle Coppelle, ad un passo dal Senato, un'ora dopo. Nazario Pagano, altro senatore azzurro, dà voce alle ragioni e alle speranze dell'altra parte, cioè dei promotori del referendum. Anche lui ha parlato con un non meglio specificato «consulente del Quirinale», ricevendo un parere opposto a quello della Carfagna: il referendum non favorirebbe le elezioni, anzi potrebbe renderle più difficili. Visto che il capo dello Stato non parla e ognuno ha il suo consulente quirinalizio, inutile aggiungere che sotto il cielo la confusione è massima. Quindi, per orientarsi di più e capire chi ha ragione, bisogna risalire alla fonte, cioè scoprire chi appoggia a questo punto, dietro le quinte, il partito pro-referendum e perché. Racconta Pagano: «Alcuni di noi hanno fatto lo scherzo di ritirare la firma. Ora la Lega ci darà una mano. Finora ci hanno mandato, riservatamente, solo le firme degli ultimi arruolati. Sono arrivati prima due ex grillini. Io poi ho insistito con Calderoli e dopo un quarto d'ora mi è arrivata la firma di un altro ex 5 stelle passato alla Lega, Lucidi. Ora però debbono scendere in campo in prima persona, anche perché - a sentire Calderoli - questo referendum, per una serie di complicati ragionamenti, toglierebbe alla Consulta qualche argomento per bocciare il referendum leghista a favore del maggioritario che impedirebbe il ritorno al proporzionale». Qualche ora e arriva la conferma dal capogruppo dei deputati leghisti, Maurizio Molinari: «Qualcuno di noi firmerà». Un'ora ancora e c'è la benedizione urbi et orbi del líder maximo: «Io grida Salvini nei comizi emiliani sono per i referendum su tutto».

Così è svelato l'arcano. La battaglia sulle firme sul referendum sulla riduzione dei parlamentari è solo uno dei tre colpi di fucile di chi punta ad abbattere, emarginare o, comunque, sterilizzare Salvini. E la linea di confine tra i due eserciti taglia di netto in due proprio Forza Italia. Una vera partita a scacchi, con mosse e contromosse, che avrà un vincitore e un perdente nel giro di un mese o poco più. C'è la battaglia sulle firme, infatti, ma anche quella che è avvenuta ieri nella giunta per le autorizzazioni a procedere di chi vorrebbe votare subito la messa in stato d'accusa di Salvini, per trasformarlo in un martire in chiave elettorale, e chi, cioè governo e maggioranza, punta a rinviare il verdetto. Ed ancora c'è la decisione della Consulta sul referendum leghista e le elezioni in Emilia e Calabria. Ma, soprattutto, c'è la madre di tutte le battaglie, quella sulla legge elettorale che dovrebbe essere incardinata lunedì a Montecitorio: un proporzionale con sbarramento al 5% che metterebbe in moto una serie di processi con l'obiettivo di rivoluzionare la geografia politica in modo da spogliare Salvini del ruolo di sicuro vincitore delle prossime elezioni, privandolo di conseguenza dell'egemonia che esercita sul centrodestra e non solo. Che la posta in palio sia questa non c'è dubbio, tant'è che Salvini per evitare un simile epilogo punta alle urne il prima possibile. «Il combinato disposto tra l'introduzione immediata della legge sulla riduzione dei parlamentari e la nuova legge elettorale spiega il ministro per i rapporti con il Parlamento, Federico D'Incà sarebbe perfetto: si blinderebbe la legislatura per avere il tempo di avviare una serie di processi politici che ridurrebbero i partiti a non più di 5 o 6. In più una legge che preveda che le maggioranze si facciano in Parlamento, cambierebbe il lessico della politica: sarebbe più incline al dialogo e meno divisivo. Il sovranismo finirebbe su un binario morto». «E l'accordo c'è davvero assicura il sottosegretario 5 stelle Gianluca Castaldi - l'opposizione di Leu è stata solo formale, visto che loro finiranno nel Pd; e anche a Renzi va bene uno sbarramento del 5%, visto che punta a prendersi una parte di Forza Italia, anche se io penso che sarà Berlusconi, che è più furbo, a prendersi lui». Non sono parole al vento. I primi segnali di questi processi già si intravedono. «Le nostre critiche alla legge elettorale? Formali ammette Nico Stumpo di Liberi e Uguali ci siamo già visti al bar con il Pd per il dopo». E anche chi dentro Forza Italia immaginava di avere dei collegi garantiti da Salvini secondo la logica del Rosatellum, dovrà rifare i conti. «Avranno bisogno - ironizza Mara Carfagna - del defibrillatore».

Detto questo l'operazione non è semplice, specie per un governo e una maggioranza, che ne fanno una al dì. Senza un'intesa sulla prescrizione martedì prossimo in Commissione il governo rischia di andare sotto la proposta di legge Costa che cancella la legge del ministro Bonafede. Per non parlare della malaparata del governo sulla crisi libica, con il premier di Tripoli Fayez al-Serraj che all'ultimo momento dà buca all'incontro con Conte a Palazzo Chigi. «Non hanno capito ammette Nico Stumpo - che la politica estera non è il Risiko: Craxi arrivava a finanziare l'Olp per avere voce in capitolo nella regione e per parlare anche con quelli dell'altra parte». Altri tempi. Di fronte a tale dilettantismo è chiaro che l'esito sia sempre in bilico. Anche perché l'attuale classe dirigente non scarseggia certo di spregiudicatezza: la Lega, che ha votato ben quattro volte a favore della legge che riduce i parlamentari, in quattro e quattr'otto ha deciso di appoggiare un referendum che la rimette in discussione. «Siamo alle comiche», sintetizza Pier Luigi Bersani. È fatale quando lo scontro è decisivo. «Aspettiamo di vedere cosa avviene sul referendum sulla riduzione dei parlamentari e sul nostro per il maggioritario, per ragionare a mente fredda», è il consiglio di un personaggio di esperienza come Giancarlo Giorgetti. Sarà, ma per l'uomo forte del Pd nel governo, Dario Franceschini l'epilogo è già scontato: «Salvini con le sue uscite sul maggioritario e sui referendum pesta l'acqua nel mortaio.

Ma chi ha detto che la Consulta ammetterà il referendum leghista? L'intesa sulla legge elettorale nella maggioranza, invece, è vera. Non è Leu a non volere una legge proporzionale con lo sbarramento al 5%, ma solo la senatrice Loredana De Petris».

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