È una storia fantastica e più di mille analisi economiche spiega cosa stia succedendo nel campo degli aumenti generalizzati dei prezzi. I quattromila dipendenti della Banca centrale europea, rappresentati dal loro sindacato interno Ispo, hanno chiesto ai vertici della loro istituzione la «scala mobile» a cui agganciare i loro stipendi. Ci spieghiamo meglio: richiedono l'aumento delle loro retribuzioni visto il forte rischio di inflazione che gira per l'Europa. In effetti più che di rischio si tratta di una certezza. La gran parte di loro vive a Francoforte in Germania, dove l'indice dei prezzi ha fatto un balzo del 6 per cento.
L'inflazione è una brutta bestia. E dalle parti delle banche centrali lo sanno bene. Da Reagan in poi, esse infatti hanno cercato di controllarla adottando politiche restrittive (tassi di interesse alti) quando i prezzi si surriscaldano e politiche espansive (bassi tassi di interesse e addirittura acquisti di titoli di Stato, come avviene oggi) quando l'economia non gira e i prezzi sono stabili. Fino ad ora, soprattutto da Francoforte ci hanno detto che l'inflazione di questi ultimi mesi non era che una fiammata.
Peccato che le segretarie, gli economisti, gli autisti, i centralinisti, gli economisti della banca centrale ci credono così poco a ciò che i loro membri del direttorio dicono, da richiedere una tutela del potere di acquisto dei loro stipendi. Insomma non si fidano affatto.
A ciò si aggiunga che non occorre essere Milton Friedman per capire che una banca centrale che continua ad acquistare (e i governi soprattutto quello italiano ne sono ben lieti) titoli di Stato e a tenere i tassi a lungo in territorio negativo, di fatto stampa moneta e la inflaziona. E ciò, per di più, avviene in contemporanea ad un ciclo economico che più che una naturale tendenza al rialzo, rappresenta un rimbalzo dopo il fermo del Covid.
Insomma l'inflazione vive e vegeta in mezzo a noi. Lo dicevamo da tempo, oggi lo dicono anche i numeri. Il punto è che in pochi ritengono davvero, pur sperandolo, che questo sia un effetto passeggero.
E quando arriva l'inflazione i debitori sono ben felici: Il tesoro italiano deve restituire una montagna di prestiti per lo più a tasso fisso, e ben sa che nei prossimi anni il valore di questa montagna sarà eroso dall'inflazione.
A rimetterci in genere sono i lavoratori a reddito fisso. Come quelli della Bce. I loro stipendi rimangono uguali, ma con il tempo possono acquistare sempre meno beni. Ecco perché per anni i sindacati hanno preteso che i redditi fossero legati ai tassi di inflazione con delle indicizzazioni più o meno automatiche (in Italia la scala mobile fino all'inizio degli anni '90).
Il paradosso è che la stessa Banca centrale europea si lamentava con quei Paesi che mantenevano queste indicizzazioni automatiche, perché esse innescano una tremenda spirale: i prezzi aumentano, di conseguenza aumentano in automatico gli stipendi, e per questa via rincarano i prezzi dei prodotti e servizi.
In un batter d'occhio si arriva ad inflazione a due cifre: un veleno per l'economia.Se l'oste non si beve il vino che vende, diffidate. Ma se il banchiere vuole l'indicizzazione del suo stipendio, state certi che non è un buon segnale per la tenuta dei vostri redditi reali.
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