I dati di Bruxelles sul presente e il futuro della nostra economia lasciano l'amaro in bocca. Le previsioni sul Pil per quest'anno hanno subìto un altro taglio: arriviamo a più 2,4%, di cui il 2,1 è la spinta inerziale di cui gode la nostra economia per gli ottimi risultati dello scorso anno. Di fatto aumentiamo appena dello 0,3%. Insomma, siamo tornati alla palude italiana degli ultimi anni. Il problema principale ovviamente è il costo dell'energia, che si è mangiato tutti i sogni che avevamo nel cassetto. Per la Commissione Europea l'Italia sarà il Paese che potrebbe pagare di più le sanzioni sul gas russo.
Questi numeri meritano una riflessione. La solidarietà e l'appoggio all'Ucraina per una questione di valori e di alleanze internazionali è fuori discussione: è un dovere e nello stesso tempo un obbligo. Solo che solidarietà deve chiamare solidarietà per evitare il pericolo che il fronte occidentale e la stessa Unione Europea si dividano e procedano in ordine sparso. Oltre alla vicinanza verso l'Ucraina, c'è bisogno che i Paesi europei dimostrino lo stesso sentimento verso quelle nazioni dell'Unione che per la loro struttura economica e produttiva rischiano di essere penalizzate di più dal conflitto. In assenza di ciò, i proclami finiscono sempre per partorire il topolino.
È quello che sta avvenendo sotto sotto e che per carità di patria, pardon di Unione, tutti sottacciono. Putin pretendeva che il gas fosse pagato in rubli, la Ue ha risposto picche, ma subito è venuto fuori l'escamotage: i Paesi Ue pagheranno in dollari Gazprom, che poi li convertirà in rubli. Una mezza commedia dell'ipocrisia da entrambe le parti. Dell'embargo al petrolio russo si parla sempre meno e, ancor meno, di quello al gas per un motivo semplice: l'Europa non è nelle condizioni di privarsene.
La verità è che se vuoi sostenere le sanzioni devi attrezzarti. C'è bisogno urgente di un secondo Recovery fund - non solo a parole ma nei fatti, e non domani ma oggi - che dopo il Covid affronti l'emergenza guerra e aiuti, ad esempio, quei Paesi manifatturieri, come la Germania o l'Italia, che hanno un fabbisogno di gas superiore a quello degli altri per tenere in piedi il loro sistema produttivo. Non è un problema di nazioni frugali o di cicale. Semmai è un modo sensato di affrontare l'emergenza.
Solo che per condurre in porto un'operazione del genere hai bisogno che sia garantita la solidarietà, evitando che tutto il marchingegno si blocchi sul «veto» di un Paese.
E torniamo così all'esigenza improcrastinabile di modificare i trattati per garantire il voto a maggioranza.
Se ciò non fosse possibile, c'è un'unica strada: creare le condizioni per cui l'Europa più generosa possa procedere verso una maggiore integrazione velocemente, lasciando indietro l'Europa degli egoismi nazionali. Sono i costi politici (ed economici) della solidarietà.
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