Nel giorno in cui una montagna di teorie e congetture sulle stragi di Stato si sono rivelate panna montata, in cui Marcello Dell'Utri e i tre ex-investigatori dei Ros Mori, Subranni e De Donno sono stati assolti dalla Cassazione, sarebbe opportuna una riflessione sui guai che ha provocato in questo paese la giustizia ideologica. Già perché solo l'ideologia può far prendere abbagli di queste proporzioni, che tengono sulla graticola le persone per anni e provocano danni di immagine incalcolabili. Alla fine di quei teoremi di cui la Cassazione ha fatto, si può ben dire, giustizia, è rimasto un pugno di mosche solo che sull'eco di quelle narrazioni ci sono altre procure pronte a ripartire, magari sulla base di dichiarazioni di personaggi più adatti per l'avanspettacolo che non per indagini serie vedi Baiardo.
Appunto, un conto è la giustizia, un altro è la giustizia ideologica usata per abbattere l'avversario politico, per liquidarlo, per sporcarne l'immagine e la storia. Operazioni che non costano niente, perché chi ha preso l'abbaglio - volontariamente o meno - non paga niente. Il punto, però, è che le vittime di queste inchieste fondate sui teoremi appartengono sempre ad un versante politico, quello del centro-destra, quello che non può contare sui pm «militanti» nella magistratura. Dispiace dirlo ma purtroppo è un dato di fatto: ieri, in un giorno solo, c'è stata l'assoluzione di Dell'Utri finito nel mirino per colpire Silvio Berlusconi, mentre è stata archiviata l'inchiesta sul caso Metropol, cioè sulle presunte tangenti russe alla Lega, in cui era stato messo in mezzo Gianluca Savoini per tirare in ballo Matteo Salvini. Quindi, solo fumo, e va bene così, ma quel fumo nel frattempo è servito per organizzare campagne mediatiche contro il Cavaliere e contro il leader della Lega in Italia e all'estero. E per sporcarne in qualche modo l'immagine perché, come canta Don Basilio nel Barbiere di Siviglia, «la calunnia è un venticello», qualcosa resterà. Un meccanismo, va detto, che ha condizionato in un modo o nell'altro più di una consultazione elettorale e, quindi, anche la nostra democrazia.
Del resto basta pensare a cosa è stato imbastito sul «caso Ruby», messo in piedi quando il Cav era al massimo della sua popolarità (basta guardare, visto che se ne è parlato in questi giorni, gli indici di gradimento raggiunti dall'allora Premier con il discorso di Onna del 25 aprile) proprio per colpirlo politicamente. Un calvario finito con un'assoluzione. Intanto, però, quella vicenda contribuì a far cadere il suo governo e ne ha logorato la figura. E solo ora gli avversari, anche i più accaniti, ne riconoscono i meriti. Addirittura l'altro giorno l'ex-presidente del parlamento Europeo, Martin Schulz, quello che ebbe uno scontro storico con il Cav, lo ha definito «un baluardo di ragionevolezza».
Già, l'onestà intellettuale arriva tardi, intanto però la giustizia ideologica i danni li ha già fatti. E non li hanno subiti solo le vittime.
Perché governi che cadono per ragioni che esulano dal loro operato o leader politici silurati da inchieste che poi naufragano nelle aule dei tribunali, nel bilancio di un Paese rispondono al capitolo delle risorse sprecate e delle riforme abortite. In fondo la giustizia ideologica serve proprio a garantire lo «status quo». Non per nulla ancora oggi l'«incompiuta» per antonomasia è la riforma della giustizia.
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