I file top secret del Regno Unito su Berlusconi: "Un talento"

Un dispaccio dal quale si evince chiaramente la percezione del governo britannico dell'epoca su quanto accadeva in Italia in quegli anni, a cavallo tra Tangentopoli e l'arrivo sulla scena del Cavaliere

I file top secret del Regno Unito su Berlusconi: "Un talento"
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Era il 26 gennaio del 1994 quando nelle redazioni di tutti i telegiornali nazionali (e dei principali tg locali) fu recapitata la celebre Vhs in cui Silvio Berlusconi annunciava la sua discesa in campo. Politicamente sono passate almeno due ere geologiche, ma fu quello il battesimo di una nuova stagione politica, in cui i partiti sarebbero diventati a immagine e somiglianza del loro leader, forte non solo in quanto politico, ma anche per la sua storia personale (e familiare). Una rivoluzione che, soprattutto in Europa, spaventò molti. E che sul Cavaliere attirò critiche e dubbi. Passati pochi mesi, però, nel Vecchio continente la percezione iniziò a cambiare. Non tanto a livello dei media mainstream, quanto negli ambienti della diplomazia che conta. Come certifica la documentazione dell'epoca recentemente desecretata dal governo del Regno Unito. Tredici pagine ben articolate, contenute in un file top secret del 6 giugno 1994 sulla vittoria di Berlusconi alle elezioni del 27-28 marzo. Titolo: «Diplomatic Documents 1994». La relazione, con dovizia di particolari e commenti - positivi e negativi -, è scritta dall'allora ambasciatore britannico a Roma Patrick Fairweather e indirizzata al primo ministro dell'epoca John Major, successore di Margaret Thatcher al numero 10 di Downing Street. A scovare il documento - che all'epoca fu inviato anche a diverse ambasciate britanniche, tra cui Washington, New York e Mosca - è stata Nicoletta Maggi, giornalista e interprete che ha lavorato a lungo in Inghilterra e Germania e che ormai dal 1993 è la storica addetta stampa di Umberto Bossi.

Un dispaccio dal quale si evince chiaramente la percezione del governo britannico dell'epoca su quanto accadeva in Italia in quegli anni, a cavallo tra Tangentopoli e l'arrivo sulla scena del Cavaliere. Per il quale l'ambasciatore inglese spende soprattutto parole di elogio. «Berlusconi - si legge nel cablo - non ha mai sbagliato un passo da quando è entrato in politica all'inizio del 1994. È stato audace e deciso se serviva, cauto e conciliante se era necessario. E ha percepito il desiderio di cambiamento del Paese, perché ha il talento dell'uomo di marketing di intuire ciò che la gente vuole». Al netto delle perplessità sul suo «sodalizio» con Bettino Craxi e gli «interessi economici privati», la diplomazia britannica definisce una «performance sorprendente» l'entrata in politica del Cavaliere che «in meno di tre mesi ha costruito Forza Italia fino a farla diventare il partito che ha ottenuto il maggior numero di voti alle elezioni». E anche sul fronte della politica economica, l'approccio di Londra è favorevole: «Berlusconi vuole modernizzare e ha sottolineato con forza la necessità di una deregulation e di una maggiore concorrenza». Qualche preoccupazione, invece, sul versante della politica estera perché «il governo di Roma perseguirà gli interessi nazionali con maggior vigore rispetto ai suoi predecessori» e questa «non sarà una buona notizia per il Regno Unito».

Ma nel dispaccio si parla anche di Gianfranco Fini e Umberto Bossi. Il primo viene definito un «fedele luogotenente di Berlusconi», almeno «fino a quando non avrà reso An e se stesso rispettabili». E per farlo «ha bisogno di tempo», perché - scrive Fairweather -, come «mi ha fatto notare l'ex presidente Francesco Cossiga», il suo partito più che «blu» è ancora «nero». Insomma, «deve scrollarsi di dosso il passato fascista». Il secondo, invece, è «un caso diverso». Bossi è «un politico astuto» che «vuole una maggiore autonomia regionale». La Lega «ha alcune buone idee», ma «la violenza verbale di Bossi» ne «mina la credibilità». Il Senatùr, però, si sta facendo portavoce delle istanze del Nord che «sta emergendo sempre più chiaramente come la dinamo economica, sociale e politica dell'Italia».

Poche righe, invece, sulle opposizioni. Quella di Achille Occhetto, allora segretario del Pds, è definita una «leadership timida» e «consapevole della vulnerabilità del partito alle accuse di aver preso tangenti e di essere sulla difensiva per la passata dipendenza del Pci dai finanziamenti dell'Unione Sovietica».

Mentre è Mario Segni - ancor «più del segretario della Dc Mino Martinazzoli» - il principale «responsabile della débâcle dei moderati» perché «dopo il suo trionfo nella campagna per la modifica del sistema elettorale nell'aprile del '93, gli errori e i cambiamenti di opinione di Segni sono stati numerosi».

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