I grillini insostenibili ammazza-imprese

I grillini insostenibili ammazza-imprese

Lo sguardo è trafelato, il tono è preoccupato, ma in fondo il senatore 5stelle Gianluca Castaldi sapeva benissimo che nel ruolo di sottosegretario ai Rapporti con il Parlamento si sarebbe trovato nella scomoda posizione «dell'imbuto l'espressione è sua - che raccoglie tutti i malumori grillini verso il governo». Spiega il personaggio in un angolo dei saloni che costeggiano l'aula di Palazzo Madama: «Mi arriva tutto addosso. È un casino. Poi da noi ci sta di tutto: gli ideologizzati a prescindere e quelli che polemizzano mossi dal rancore per aver perso la poltrona al governo. Io debbo stare appresso a tutti. Purtroppo è nella nostra natura, nel nostro Dna. In fondo Di Maio lo aveva detto quando l'80% dei parlamentari si era schierato a favore del governo con il Pd e lui era contrario: Poi voglio vedere come riuscirete a mettere d'accordo non più due partiti, ma quattro. Ora non si può tornare indietro, anche se sinceramente Luigi non riesco a leggerlo più, non so cosa pensi davvero: se vuole andare avanti, se pensa al movimento o alle sue ambizioni personali».

In realtà questa strana condizione, cioè, per parafrasare il romanzo di Milan Kundera, l'insostenibile leggerezza dell'essere grillino, va avanti dall'inizio di questa legislatura, da quando il destino, cinico e baro, ha voluto che i 5stelle si ritrovassero, magari a loro insaputa e senza alcun merito, al governo. A quel punto prima Salvini e i sovranisti hanno toccato con mano, ad esempio sulla Tav, cosa significhi avere a che fare con l'«insostenibile interlocutore grillino». Ora, invece, questa drammatica esperienza la stanno provando sulla loro pelle Zingaretti e Renzi. Un'esperienza dura. «Ora tocca a loro si sfoga l'ex viceministro dell'Economia del governo gialloverde, il leghista Garavaglia io non ne voglio sapere più niente. Brrrrrr! Grazie a loro ho contratto delle nevrosi, debbo ricorrere allo psicologo».

Magari Garavaglia esagera, ma è difficile dare un senso a quanto è avvenuto sull'Ilva: 17 senatori grillini capitanati dalla pugliese Lezzi hanno preteso, per votare la fiducia sul decreto per le crisi aziendali, che fosse eliminato lo scudo penale per i neoproprietari del gruppo, quelli di ArcelorMittal (un modo per evitare che pagassero per le colpe delle precedenti amministrazioni); il ministro Patuanelli ha assicurato che quella scelta non avrebbe avuto conseguenze; invece, il colosso franco-indiano l'altro ieri ha annunciato che avrebbe rinunciato all'Ilva; e ieri, a danno fatto, sul decreto fiscale si sono materializzati emendamenti del Pd, di Italia Viva, di Forza Italia e della Lega che hanno riproposto lo scudo penale, ma non è detto anzi è poco probabile - che ciò basti a far tornare ArcelorMittal sui suoi passi. In sintesi, ben che vada, si è dato un pretesto al gruppo franco-indiano per rimangiarsi gli impegni presi.

Insomma, siamo di fronte ad un guazzabuglio simile a quello sulla Tav. Anzi, peggio, perché la questione Tav fu agitata dall'intero universo 5stelle, mentre in questa occasione è stata solo una piccola frangia a scatenare il finimondo sull'Ilva: prima Lezzi e compagni, infatti, hanno egemonizzato con l'arma del ricatto il movimento; poi, approfittando delle paure della delegazione ministeriale grillina che non ha avuto il coraggio di opporsi ai loro ultimatum, sono riusciti condizionare il governo e l'intera maggioranza nelle loro scelte. Un atteggiamento che ha fatto storcere il naso anche all'anima più pragmatica dei 5stelle. «Io ha puntualizzato Luca Carabetta rispetto alla Lezzi sono diversamente grillino». Mentre il viceministro allo Sviluppo Economico, Stefano Buffagni, si è sfogato con alcuni parlamentari del movimento: «La Lezzi? Lasciamo perdere! Quelli al Senato si comportano così perché sanno di essere decisivi per i numeri».

Solo che può un governo essere egemonizzato dall'ala più ideologizzata dei 5stelle, da quelli delle scie chimiche o dei «no vax»? Possono Pd e renziani accettare logiche fuori dalla realtà? No, se non vogliono entrare in una spirale pericolosa. Tanto più se si tiene conto che l'arma del ricatto grillino è scarica, perché questo governo, si può dire ciò che si vuole, nasce soprattutto dalla paura dei 5stelle di andare alle urne, dal timore dell'estinzione. Ecco perché ieri da Graziano Delrio, ad Andrea Orlando, alla stessa delegazione ministeriale piddina sono arrivati dei moniti a Zingaretti che minaccia le elezioni ma spesso abbozza - a cambiare registro, ad essere meno accomodante con i 5stelle.

«Ma vi pare osserva il sottosegretario all'Interno, Emanuele Fiano che possiamo accettare di essere egemonizzati non dico dai grillini, ma addirittura dalle loro frange minoritarie più estremiste?! È come se un tempo il Pci avesse accettato di subire l'iniziativa di Avanguardia Operaia!». E se dentro il Pd sull'«affaire Ilva» si è alzato un coro di «mai più!», anche i renziani sono convinti che è necessario cambiare «spartito» nel governo. «Io sull'Ilva ha spiegato al suo inner circle lo stesso Renzi mi preoccupo solo che la fabbrica non chiuda. Non sono come quello sciacallo di Calenda, che ci specula sopra. Tant'è che ho ritirato fuori l'ipotesi della cordata alternativa. Ma a gennaio bisognerà rifare i conti con i grillini. E non lo farò su un tema come l'Ilva, visto che parole come scudo penale o immunità alla gente possono suonare male, ma semmai su un argomento come il reddito di cittadinanza su cui tutti ci ridono dietro. L'importante, però, è che altri capiscano, che altri concorrano a costruire un nuovo equilibrio. Quando parlo di salvaguardare ciò che c'è di buono nell'eredità berlusconiana che debbo dire di più?!».

Già, in fondo, tutti si pongono il problema di evitare che l'esplosione dell'universo grillino metta a rischio la legislatura, o crei danni. Ad esempio, il senatore 5stelle, Ugo Grassi, professore di Diritto Pubblico all'Università di Napoli e già estensore dell'ipotesi di impeachment di Mattarella, agitata un anno fa da Giggino Di Maio, sta addirittura tentando di mettere in piedi un gruppo parlamentare trasversale che vada dai 5stelle a Forza Italia per mettere al sicuro il governo Conte. Come pure si continua a teorizzare una scissione dei gruppi parlamentari azzurri, da una parte per salvaguardare la legislatura, dall'altra per trattare con Salvini. «Ormai confida Paolo Romani è quasi sicuro che verranno alla luce la prossima settimana. La Carfagna si è convinta e Toti ha capito che non gli conviene fare il terzo polo sovranista, ma che deve interpretare l'anima moderata del centrodestra». Della partita potrebbe essere anche Maurizio Lupi, ex ministro alfaniano, addirittura nel ruolo di capogruppo del nuovo soggetto parlamentare alla Camera. Sempre che nasca.

In questo caleidoscopio di ipotesi per neutralizzare le schegge impazzite grilline, c'è, invece, anche chi spera - e sogna - una soluzione più drastica. «Io se fossi Zingaretti è l'analisi della testa d'uovo leghista, Giancarlo Giorgetti mi infilerei nell'unico pertugio possibile per salvarmi.

Andrei da solo nelle elezioni in Emilia, le vincerei - perché da solo Zingaretti vince, mentre con Di Maio perde e il giorno dopo farei cadere il governo e andrei alle urne. Se non lo fa, muore. Altrimenti i grillini io li conosco bene lo costringeranno fare cazzate su cazzate. Magari torneremo pure all'acciaio di Stato, a Mussolini».

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