I pm condannati ma sempre in carica

La permanenza sulla stessa poltrona è una questione d'opportunità di fronte a un caso giudiziario, ma sembra non valere per il mestiere di magistrato

I pm condannati ma sempre in carica
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Se una maestra d'asilo maltratta dei bambini non è che si attende il giudizio della Cassazione per rimuoverla dal suo posto. Se un autista di autobus è causa di un grave incidente, così pure, dal giorno seguente lo si mette a riposo. E vale per un pilota d'aereo, vale per infiniti altri mestieri o cattedre di responsabilità, vale ovviamente anche nella vita privata, laddove uno sportivo come Jannik Sinner, per esempio, non è che abbia aspettato il giudizio finale dell'antidoping per licenziare i preparatori che l'hanno contaminato con una sostanza proibita. In termini giudiziari vale naturalmente la presunzione d'innocenza, ma la permanenza sulla stessa poltrona, a fare le stesse identiche cose, è una questione, come si dice, di opportunità: che tuttavia non vale per il più delicato dei mestieri che è quello del magistrato che si ritrova a decidere della vita e della libertà altrui.

Ti condannano perché non sai fare il magistrato? E tu dall'indomani allora fai questo: il magistrato, come prima e più di prima, nello stesso ufficio di prima. E questo infatti fa il procuratore Sergio Spadaro, il quale, con il collega Fabio De Pasquale, la scorsa settimana è stato condannato a otto mesi per «rifiuto d'atti di ufficio» ma intanto si è già attivato a coordinare indagini e a disporre perquisizioni in Regione Lombardia. Poi l'indagine sarà pure sacrosanta, non entriamo nel merito: resta che, per alcune figure professionali, un incidente significa anche la fine della carriera o addirittura andare all'altro mondo, mentre per il magistrato può essere tutto come prima, così pare. Una condanna in primo grado non cambia assolutamente nulla, anche se, a paragone e per esempio, la classe politica spesso viene invitata a farsi da parte anche se solo indiziata di reato: figurarsi se fosse condannata anche soltanto in primo grado. «I politici che delinquono vanno mandati a casa senza il bisogno di attendere il giudizio definitivo», disse l'ex magistrato Piercamillo Davigo prima che un giudizio definitivo toccasse anche a lui. Spadaro invece non andrà a casa: andrà all'Eppo, la procura europea.

In passato è accaduto che dei magistrati condannati in primo grado fossero almeno trasferiti o passati in un altro ufficio magari civile; altri magistrati, notava ieri anche l'Unità, in passato erano stati trasferiti dal Csm per molto meno e anche senza avere ancora condanne in primo grado. Basta ricordare il caso peraltro milanese dell'allora procuratore aggiunto Alfredo Robledo ai tempi dell'indagine su Expo. In questo caso la condanna a Sergio Spadaro riguarda un magistrato che non sa fare il magistrato, avendo lui nascosto delle prove anziché portarle in aula: una contraddizione palese con uno dei pilastri fondanti del nuovo Codice, cioè che l'accusa può raccogliere prove a carico di un indagato/imputato e però, se capitano, deve raccoglierle anche a discarico, ossia in suo favore; l'obbligo di cercare anche le prove a favore dell'indagato, oltretutto, sarebbe parte di quella famosa «cultura della giurisdizione» sempre citata dall'Associazione dei magistrati nell'opporsi a ogni ipotesi di separazione delle carriere.

Un comportamento (grave) che pare assodato in attesa che i vari gradi di giudizio facciano comunque il loro corso, come ha annotato ieri il deputato di Forza Italia Enrico Costa in uno tweet su «X»: «Sogno un Paese in cui gli indagati godano della stessa presunzione di innocenza garantita a quel pm che, condannato in primo grado a 8 mesi per rifiuto di atti d'ufficio, continua a fare il suo lavoro e a condurre inchieste e perquisizioni».

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