«Sono molto orgogliosa e soddisfatta della manovra, della compattezza della maggioranza e della» rapidità con cui è stata approvata. La presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, non ha nascosto il proprio entusiasmo per aver chiuso la partita della legge di Bilancio in tempi stretti. «È una manovra seria, di buon senso, che concentra le non molte risorse che abbiamo a disposizione in quelle che noi consideriamo essere le priorità di questa nazione», ha aggiunto sottolineando che «in meno di due anni di governo abbiamo già approvato tre manovre di bilancio, ma la strategia rimane la stessa: ci concentriamo sui redditi, sui salari, sul lavoro, sul sostegno alle imprese, sulla salute dei cittadini, sulla famiglia, senza aumentare le tasse per i cittadini, tenendo i conti in ordine».
Permane il rammarico per le «spese allegre» del predecessore Giuseppe Conte, ma anche la soddisfazione per il Fondo sanitario nazionale a 136,5 miliardi nel 2025 e a 140 miliardi nel 2026, nonché i 4,5 miliardi per il rinnovo dei contratti del pubblico impiego che, come ha evidenziato ieri Giorgetti in conferenza stampa, sono coperti su base pluriennale.
E ieri al ministro dell'Economia è toccato illustrare in anteprima la ratio dei provvedimenti (la prossima settimana replicherà insieme alla premier) precisando ancor meglio un dato di fatto: la manovra, innanzitutto, combatte gli sprechi e poi chiede un contributo a chi ha avuto risultati eccezionali legati alla contingenza come banche e assicurazioni senza intenti punitivi. «Oltre ai pescatori che si svegliano alle 4 e i sacrifici già li fanno, oltre agli operai che si svegliano alle 5 per essere in fabbrica alle 6 e, quindi, i sacrifici già li fanno, in questa manovra ci sarebbero stati altri sacrifici un po' per tutti, anche per le banche», ha puntualizzato il titolare del Tesoro. Un tema che ha chiosato il viceministro dell'Economia, Maurizio Leo, rimarcando che «la sospensione delle deduzioni per le perdite su crediti va a impattare sugli utili» e, dunque, rappresenta una sorta di tassazione dei profitti.
Ma soprattutto si è cercato di razionalizzare e di evitare gli «sprechi», parola che ricorre spesso nella narrazione di Giorgetti a rimarcare come non si sia punito nessuno ma si sia, piuttosto, razionalizzato il fronte delle uscite. Dai tagli della spesa corrente dei ministeri arriveranno oltre 2 miliardi. Una politica economica prudente che il ministro ha rivendicato con orgoglio al momento di ricordare come il taglio del cuneo e la riforma dell'Irpef siano stati resi strutturali (con estensione dei benefici, seppur a scalare, da 35mila a 40mila euro). «L'atteggiamento prudente nella gestione della finanza pubblica ha consentito di creare spazi per 18 miliardi» destinati a «rendere strutturali misure come il taglio del cuneo che tanti ritenevano una tantum e invece diventano realtà». Le maggiori entrate dal recupero dell'evasione e il maggior gettito generato dall'incremento del numero di occupati hanno determinato una disponibilità certa di 13 miliardi per i prossimi anni che coprirà lo sgravio per i lavoratori con redditi medio-bassi.
Il taglio degli sprechi, invece, viene sintetizzato con due misure esemplificative e non solo con la spinta ai ministeri di dedicarsi ai programmi di spesa veramente efficaci. Il tetto agli stipendi di enti pubblici, fondazioni e società partecipate dallo Stato non quotate fissato a 80mila euro, cioè il salario del premier. «Può darsi che qualcuno possa rinunciare anche al contributo pubblico e decidere autonomamente cosa fare, qualcun altro continuerà a richiederlo ma si dovrà adeguare», ha detto Giorgetti. L'altro taglio è sulle stock option riservate ai manager.
La deduzione del premio in azioni assegnato dalle imprese sarà tale solo all'esercizio e se ci sarà un differenziale positivo tra valore dei titoli e prezzo di esercizio. Il risparmio a carico dello Stato non sarà più automatico.
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