Spesso ci interroghiamo sul perché anche quando le multinazionali della moda si assicurano un brand italiano, creatività e produzione restano nei luoghi d’origine. Non è una questione di diritti dei lavoratori o di garanzie pretese dai governi di Roma, è perché dietro la bellezza italian style c’è una storia, una vocazione, un destino, un incrocio di condizioni irripetibili in altre latitudini. Ma il lusso, l’arte, la cultura vanno coltivati e arricchiti. A maggior ragione in un contesto che vede per la prima volta registrare segnali di stanchezza nel settore che ha dato i natali al Made in Italy. Perché la moda non è un lusso, è una macroregione nell’immaginario italiano e globale. Di questo e tanto altro si parlerà nell'evento "La moda non è un lusso" si terrà a Firenze presso Palazzo Pucci il 23 ottobre alle ore 9. Al link di seguito è possibile iscriversi gratuitamente per partecipare all'evento: https://shorturl.at/BVeUl
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Denti così larghi che sembra impossibile coprirli con le labbra, greggi di efelidi sul viso, sopracciglia folte come un bel paio di baffi. Facce usate dall’irregolarità, oppure piatte e diligenti, da appassionati di computer, nasi protagonisti e zigomi puntuti, iridescenti come l’ala di un arcangelo. E corpi sgualciti che si tengono addosso il racconto del giorno prima, capelli sistemati dietro le orecchie, oleosi come sottaceti coreani. Figure esili, informi come canali di scolo, oppure lussureggianti, stagne, toniche e orgogliosamente abbondanti. La percezione estetica è strettamente imparentata con la cultura e questa «nostra» cultura ha reinterpretato la bellezza e il modo di vestirla per portarla in giro (la moda non è un lusso). In un’epoca profondamente intollerante, i canoni estetici non sono mai stati così inclusivi. Se di criteri si può ancora parlare, perché oggi non si vuole affermare un nuovo canone di bellezza, si vuole superare il concetto stesso di canone.
Sulle passerelle delle sfilate sono apparsi Winnie Harlow, con il volto dipinto dalla vitiligine, e Shaun Ross, affetto da albinismo. La grinta tascabile e sprimacciata di Victoria De Angelis, la bassista dei Maneskin, si è trasformata nel sogno erotico di ragazzi e ragazze; il personaggio di Naditza in Mare fuori, interpretato da Valentina Romani, scalza, con la chioma arruffata e i vestiti sporchi è diventata l’idolo del pubblico, il diamante da lasciare grezzo per scendere con lei fino a dove l’ha messa la vita. E poi c’è la strada a dimostrare che la dignitosa, languida raffinatezza della borghesia è passata di moda. Oggi si celebrano l’unicità e la diversità individuale, le caratteristiche che una volta erano viste come difetti. Etnie, forme, dimensioni, modi di interpretare se stessi.
È in corso un cambiamento profondo che promuove il rispetto e l’apprezzamento della varietà in tutte le sue forme. La definizione di bellezza, negli ultimi decenni, ha continuato a espandersi e ha incluso ciò che un tempo era inconcepibile contemplare: rughe, capelli grigi, macchie, teste completamente calve. Il concetto di bellezza cambia con la società e con ciò che nella società si fa spazio, come la fluidità sessuale, la cancellazione del concetto di genere o, al contrario, l’orgoglio di genere e via via le regole che un tempo profumavano di imprescindibile. Ciò che una comunità ammira può lasciare perplesso o addirittura disgustato un altro gruppo di persone. La deviazione dalla norma, che qualcuno può trovare dolorosamente bella, può creare ribrezzo in altri. Allo stesso modo la bellezza è soggettiva e personale ma può anche diventare universale, incarnata da persone che, con tutto il loro corpo, rispondono al modello culturale del momento. E la tecnologia ha accelerato un’evoluzione che avrebbe impiegato molto più tempo a svilupparsi attraverso i mezzi di comunicazione tradizionale. Perché ha messo il potere di definire la bellezza nelle mani delle persone.
Gli smartphone, i filtri, le app, hanno permesso a ognuno di gestire diversamente il proprio aspetto (fino all’evoluzione estrema della bellezza «asiatizzata» ricreata con l’Intelligenza Artificiale: la pelle schiarita, i nasi rimpiccioliti, gli occhi ingigantiti). Attraverso la tecnologia abbiamo imparato ad educare gli altri a noi stessi, a insistere su ciò che devia dal gusto comune e identifica «solo noi». La gente si smargina e reinterpreta se stessa, sperimenta outfit, acconciature, make up estremi, si trasforma in ciò che vuole, si ridisegna. «Zoomma» su un difetto e lo rende un punto di forza, si impone, fa pace con qualunque forma di sé. L’accettazione e la valorizzazione. Ci si veste con ciò che piace indipendentemente da come si è fatti, le pubblicità degli assorbenti intimi diventano sempre più esplicite (al limite del respingente), negli spot patinati irrompono veneri irregolari e determinate, dallo sguardo gotico e scontroso.
C’è qualcosa di nudo in loro, nel senso di qualcosa che manca, oppure che è persino di troppo. E il nuovo modo di comunicarsi coprendosi o scoprendosi, incurante di quelli che un tempo erano considerati limiti: i pantaloni a vita alta a fasciare glutei formosi, i top cortissimi, le braccia nude anche se eccessivamente tornite o cadenti, i leggins, nemici di qualunque corpo, indossati con una nuova noncuranza, le sneakers esibite in qualunque circostanza a sostituire le scarpe di cuoio che un tempo andavano lucide come Jaguar. Mentre la spinta omologante lavora su altri aspetti della vita, libera la percezione del sé, supera il dualismo odioso e ingombrante del bello-brutto, annienta l’atavica distinzione uomo-donna. Non ci veste più a seconda del luogo, del contesto e dell’opportunità ma piuttosto per ciò che si vuole comunicare, per come ci si vive. E il corpo stesso diventa un racconto.
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L’evento è ad accesso libero fino ad esaurimento posti previa iscrizione al link: https://shorturl.at/BVeUl
- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.