Doveva essere un governo a trazione tecnica, alla fine è stato un compromesso. Su 23 ministri, infatti, ben 15 saranno politici e solo 8 arriveranno dalla cosiddetta società civile. Il segnale che perfino Mario Draghi qualche compromesso è stato costretto a farlo. Non certo sulle poltrone essenziali, perché la lista dei ministri sciorinata ieri sera al Quirinale dal neo presidente del Consiglio dice chiaramente due cose. La prima: la gestione dei fondi del Recovery fund resterà in capo al premier e ai suoi uomini di fiducia, visto che non è stato creato un ministero ad hoc e, soprattutto, che il dicastero dell'Economia è stato affidato a Daniele Franco, direttore generale della Banca d'Italia e suo uomo di fiducia. La seconda: il sovranismo rimarrà all'angolo, in particolare un Matteo Salvini costretto a digerire scelte che mai avrebbe potuto condividere. Non c'è uno dei sei ministri in quota centrodestra, infatti, che sia vicino alle posizioni del leader della Lega. Che ieri sera giurava di essere felice e contento di potersi finalmente mettere a lavorare «pancia a terra» per il Paese, ma che in verità era fuori dalla grazia di Dio per le scelte di Draghi. Nessuna delle quali, non è un dettaglio, condivisa con il leader della Lega. Che, dunque, si è sì ritrovato ad avere in un baleno ben tre ministri al governo. Ma - piccolo dettaglio - senza che ce ne fosse uno che risponde direttamente a lui. I tre leghisti nel nascituro esecutivo Draghi, infatti, sono - seppure con sfumature diverse - di stretta osservanza giorgettiana. Lo è, evidentemente, Giancarlo Giorgetti, neo ministro dello Sviluppo economico. Ma pure Massimo Garavaglia, viceministro all'Economia nel Conte 1, che va al dicastero del Turismo. E perfino Erika Stefani, neo ministro per le Disabilità, è comunque considerata molto vicina a Giorgetti. Con lui, infatti, si coordinava quando era ministro degli Affari regionali del governo gialloverde. Insomma, in quota Salvini non sarebbe entrato nessuno. Non è un caso che l'ex ministro dell'Interno si vada muovendo in modo piuttosto nervoso, come notava ieri chi dal Pd faceva notare la sua «irrefrenabile» presenza serale sulle tv.
Ma, va detto, è pure legittimo il nervosismo di Salvini. Che ha dato la sua disponibilità a sostenere il governo Draghi ma è poi stato messo in un angolo. Al punto che ieri ha appreso la lista dei ministri ascoltandola direttamente in tv da Draghi, perché - fino a pochi minuti prima - nessuno lo aveva messo a conoscenza dei nomi della Lega destinati a finire nella squadra di governo. E il leader del Carroccio la sensazione dell'accerchiamento l'ha avuta anche per come si sono posizionate le caselle di Forza Italia. Ministri Mara Carfagna, Renato Brunetta e Mariastella Gelmini. La prima, vicepresidente della Camera, fieramente antisalviniana - per usare un eufemismo - da tempo. Il secondo da sempre critico con la Lega, al punto di spostarsi sul fronte dei cosiddetti responsabili solo una settimana fa. Anche lui, come Renata Polverini, saltò la prima chiama sul voto di fiducia a Conte. L'ex segretaria dell'Ugl è poi approdata ai responsabili, Brunetta è invece diventato ministro. Infine la Gelmini, da sempre dialogante tra le due anime di Forza Italia. Insomma, se è lei la più vicina a Salvini tra i tre azzurri «promossi» ministri è evidente che Draghi ha voluto dare un segnale forte.
L'ex governatore della Bce, è questa la percezione diffusa tra i partiti, ha presentato una lista dei ministri che ha nei fatti ridisegnato il quadro politico. Schiacciato il sovranismo a destra, ha deciso di tutelare gli equilibri interni al Pd tenendo insieme le delicatissime gerarchie interne ai dem. Ministri tutti: da Dario Franceschini ad Andrea Orlando, passando per Lorenzo Guerini. Nel M5s, invece, strada spianata per Luigi Di Maio e la quota che fa capo al presidente della Camera Roberto Fico, che molto si è speso per Draghi in queste consultazioni.
Un bilanciamento delicato e che potrebbe anche portarsi dietro degli strascichi. L'insoddisfazione per le nomine di Draghi è palpabile, in quasi tutti i partiti.
Soprattutto nel centrodestra. Non solo per i malumori dentro Forza Italia, ma soprattutto per l'irritazione di Salvini: se pensa che andando avanti così il centrodestra sosterrà la sua corsa al Quirinale nel 2022, Draghi si sbaglia di grosso...
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