Lo sviluppo economico italiano degli anni '50 e '60 è avvenuto dal basso. Non l'hanno fatto le multinazionali, ma le nostre industrie tradizionali come la Olivetti, la Barilla, Marzotto, Zegna, Ratti, ma soprattutto i nuovi imprenditori, come Borghi, come Merloni, che hanno creato tutta l'industria elettrodomestica o nel campo alimentare, come Ferrero. E poi migliaia di imprese capillari con una specie di mobilitazione imprenditoriale e popolare dove tutti competono per la qualità. Di qui i favolosi distretti di prodotti di eccellenza che hanno fatto grande l'industria italiana. Poi negli Anni '90 questa spinta creativa è venuta meno: le città, i borghi che pullulavano di artigiani e negozi originali vennero sostituiti dai centri commerciali in cui scomparve l'eccellenza. Con la produzione asiatica trovi dappertutto le stesse cose fatte dalle multinazionali e una vale l'altra, cioè niente. Se ci si mette su questa strada non avremo mai lo sviluppo che ci aspettiamo. Dipenderemo sempre dagli altri. Lo sviluppo deve venire nuovamente dal basso. Ogni zona deve fare il meglio di ciò che sa fare centrando la sua attenzione sul cliente, sui suoi bisogni, scegliendo sempre quello che e più adatto a lui. Non deve limitarsi a vendergli in modo impersonale i prodotti che riceve dalle imprese produttrici, ma informarsi sui media, e dialogare con loro, suggerendo cosa serve nel mercato. Poi, essere originali cercando sempre fornitori nuovi, anche piccoli, ma originali. L'Italia è ancora piena di persone e imprese creative che vanno scoperte, valorizzate e lanciate. Bisogna poi ricostituire dove è possibile il rapporto personale col cliente, la conoscenza diretta, la fedeltà e ricordare che oggi è preziosa internet in ogni fase della transazione, ma occorre una grande competenza e una grande semplificazione.
Ogni individuo, qualsiasi cosa faccia, dovrebbe domandarsi «come posso fare ciò che serve agli altri e per cui posso farmi pagare?». Ma sempre pensando a cose pratiche da realizzare, non fantasie. Quindi grande ottimismo ma pragmatismo, realismo, e azione concreta.
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