Senza per forza essere medici, il concetto è abbastanza chiaro a tutti: il corpo umano è come una macchina: se gli ingranaggi sono corretti, funziona; se non lo sono, il rischio che s’inceppi è elevato.
Un parallelismo che sarebbe sfuggito ai professori di un noto ospedale di Roma, rei, secondo una paziente che ha deciso di rivolgersi a il Giornale.it per raccontare quanto le è accaduto, di non essersi accertati sull’esatta provenienza di alcune viti impiantate nella sua gamba per ridurre una frattura femorale. L’operazione risale all’agosto 2014, ma soltanto un anno dopo la signora, anche lei medico, si è accorta dell’anomalia: “A luglio mi sono recata da un collega ortopedico per una risonanza magnetica e non ho potuto effettuarla perché la struttura sanitaria non aveva alcuna traccia del materiale delle viti”. Per legge ogni elemento collocato all’interno di un corpo umano deve essere fornito dalla ditta produttrice attraverso l'applicazione di due etichette, una allegata alla cartella clinica, l’altra al registro operatorio. La direzione avrebbe ammesso di non sapere quali protesi fossero state effettivamente impiantate e quindi di non essere in grado di risalire alla composizione delle medesime.
“La frattura non si è ancora saldata completamente e ora devo essere sottoposta a un'altra operazione per l'impianto di una nuova protesi”, spiega la paziente, reduce da sei mesi di convalescenza. “Non si ha la certezza che questo sia conseguenza diretta dell'intervento”, continua, “però ciò che vorrei è che emergessero le irregolarità nella tenuta dei registri. Anche se non ho chiesto un euro di risarcimento, non ritengo giusto che una mancanza così grave passi inosservata”.
Dalle prime indagini emergerebbe che una protesi sia stata prodotta da un marchio tedesco, tra i più rinomati in Europa. Ma, senza un’etichetta che ne certifichi l'origine precisa, la confezione può arrivare da ogni dove. Con conseguenze, come in questo caso, tutte da verificare.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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