La Confindustria, dopo essere stata anti governativa, ora, con Carlo Bonomi, sterza verso la collaborazione col governo, ma non gratis, bensì con un nuovo grande «Patto per l'Italia» in cui è richiesta «una visione alta e lungimirante». Non è un caso che i termini «visione alta e lungimirante» ci siano anche nelle linee guida dell'Unione Europea sui prestiti Next Generation EU-Fund, impropriamente chiamato dai nostri governanti Recovery Fund, degradandoli, in tal modo, a una funzione assistenzialistica per la ricostruzione. Mentre ciò che occorre è uno sguardo in avanti, non indietro, con un netto cambio di passo, che Bonomi chiede, nel discorso all'assemblea della Confindustria, rivolgendosi al governo e ai sindacati, ponendo al centro di tutto la produttività. Un obiettivo che il PD e la trimurti sindacale nazionale hanno sistematicamente trascurato da più di un decennio e che i 5 Stelle hanno maltrattato da quando sono al potere. Bonomi dice: «Su un concetto ampio di produttività si devono concentrare le azioni e le politiche dei prossimi anni, con l'obiettivo di massimizzare il ruolo di motore dello sviluppo del sistema delle imprese e del lavoro, e dare una nuova centralità alla manifattura». La sua apertura alla collaborazione col governo, col patto per l'Italia, comporta di smontare il Jobs Act e il decreto dignità e di trasformare il reddito di cittadinanza in strumento produttivistico di formazione professionale per le imprese. «Questo è il fulcro del Patto che chiediamo al Governo di scrivere, con noi e con tutte le parti sociali». E il premier Conte accetta il patto basato sulla riscoperta della produttività, che lo può rafforzare. Ma il terreno di intesa non sembra tanto facile, perché Conte dovrà assumere una posizione sul reddito di cittadinanza non di mero ritocco, ma di trasformazione da strumento di politica sociale in strumento di politica produttivistica. Inoltre Bonomi chiede una politica di coinvestimento fra Stato e imprese italiane e Conte risponde che non considera lo Stato buono e le imprese cattive, ma sulla banda larga o ultra larga le posizioni sono distanti. Il governo vuole la presenza dello Stato tramite la Cassa Depositi e Prestiti trasformata in nuova IRI. Bonomi chiede che essa sia minoritaria; ugualmente, in aggiunta, chiede, altrettanto per quanto riguarda la riconversione all'elettricità degli alti forni del siderurgico di Taranto, che ora è di Arcelor Mittal, mentre anche qui il governo vuole il subentro di Cassa Depositi e Prestiti. Anche il ministro dello Sviluppo economico, il pentastellato Patuanelli, dice di sì a Bonomi, però aggiunge che ci «deve essere l'unità nazionale. Se vogliamo tutti bene all'Italia è ora di lavorare insieme». È una frase che ricorda i patti di unità nazionale di Berlinguer, che comportarono corrività nei deficit di bilancio e il sì alle richieste della CGIL slegate dalla produttività. Il principio produttivistico comporta di dire sì al MES sanitario onde evitare di mescolare l'emergenza sanitaria con gli investimenti per il Fondo Next Generation EU. Zingaretti, che apre a Bonomi, vuole il MES sanitario, anche il suo braccio destro, Gualtieri, ministro dell'Economia, ha detto sì al MES.
Ma ha esposto una riforma fiscale molto distante da quella produttivistica di Bonomi, che ha criticato sia le sue emissioni di debito pubblico, sia il suo ottimismo per la ripresa, implicitamente chiedendo spending review e deregolamentazioni produttivistiche. Il disgelo c'è, ma il sentiero è pieno di sassi e di pozzanghere.
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