Io, nonno, solo nel Natale senza affetti

Ci sono riusciti a farmi trattare da anziano, che non ha diritto al suo Natale, ma solo a quello prescritto dal Comitato ministeriale

Io, nonno, solo nel Natale senza affetti

Ci sono riusciti a farmi trattare da anziano, che non ha diritto al suo Natale, ma solo a quello prescritto dal Comitato ministeriale. Io, essendo del 1929, non ho mai avuto un Natale come questo, neppure a Sondrio nel 1944, durante l'occupazione tedesca, giorno di tregua anche per loro del Platz Kommandatur. Quella serata, legalmente di coprifuoco, che adesso si chiama lockdown, la brigata nera, con le ausiliarie, tutti giovani toscani, armati di mitra, non erano in giro per i controlli, facevano il cenone della Vigilia e il pranzo di Natale in caserma. Noi li facevamo in casa, consumando le penultime scorte, la vigilia col baccalà (ne avevamo conservato uno intero, che si era ridotto a un quarto) e il Natale con pasta di farina bianca, la carne che avevamo dalla montagna, poca, verdura e frutta dell'orto e andavamo in chiesa a mezzanotte. Adesso, a Torino, la vigilia non posso andare nel ristorante sulla collina, a mangiare vitello tonnato. A Natale non posso andare a Milano, dove abita mio figlio, che mi ha appena telefonato dispiaciuto, perché non mi sarà permesso andare da lui per la cena con la moglie, l'altro nonno, la nipotina Benedetta, che fa la seconda media, è la prima della classe in tutte le materie e suona il clarinetto. Mio figlio è professore di fisica teorica alla Statale, suona il violino dell'orchestra della facoltà e quando ci riunivamo, fino all'anno scorso, per Natale, faceva un piccolo concerto con Benedetta. Lui si chiama Stefano. Sotto l'albero ci scambiavamo i regali e il giorno dopo mi accompagnava in macchina a Torino, con Benedetta, e la sera festeggiavamo in collina. Quest'anno è vietato, dal Dpcm, per «tutelarmi». Non posso andare neppure a Casteggio, dove abitano i parenti di Carmen, mia moglie che mi ha lasciato qualche anno fa, con un sorriso, prima di chiudere gli occhi per sempre. Là c'era festa grande nella villa sulla collinetta del Pistornile, dove abita una delle tre cugine, con il marito, il maestro di musica Ennio Poggi, che insegnava al Conservatorio di Milano e si esibiva nel salone al pianoforte, accompagnato da Stefano al violino. Al Pistornile ci sono tornato due anni fa, eravamo di meno, ma poi lui nella chiesa a trecento metri più in basso, ha diretto il coro di ragazzi, da lui addestrato, suonando l'organo. Con quella musica, quel canto, con gli Alleluia che risuonavano e si disperdevano, io mi sentivo come in paradiso. Anche quest'anno ero invitato, ma è vietato andarci, per la mia tutela. Neppure in Valtellina posso andare. Mi è stato consentito il giorno dei morti, per visitare i miei genitori al cimitero di Sondrio. Ma ora l'amico Gino, che ha il grande albergo ristorante La Brace, nella piana sotto la Val Gerola, non mi può dare una cena in compagnia con gli schiatt, la bresaola, i pizzoccheri, la torta di grano saraceno e il concerto di musica e canti di montagna.

Come lo fai il Natale? Mi ha chiesto Stefano.

Sarò qui, solo con Angelo, il mio collaboratore, che ha la mamma al Sud, ordineremo la cena di mezzanotte a un ristorante non distante, quello fuori dal Comune, ottimo, a pochi chilometri da corso Francia 7, è precluso. Il tavolo del mio soggiorno è per sei persone, il distanziamento lo abbiamo.

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