Una sentenza che farà discutere, ma che permette a un esponente di spicco della Sacra corona unita, condannato all’ergastolo per omicidi e altri gravi reati e sottoposto al regime del carcere duro conosciuto come “41 bis”, di pregare sulla tomba del fratello morto poco tempo fa. La Corte di Cassazione ha dato il via libera al ritorno del 46enne Claudio Vitale nel suo paese di origine, Surbo, in provincia di Lecce. L’uomo ha fatto ricorso alla Suprema Corte contro la decisione del magistrato di sorveglianza di Cuneo (dove sconta la pena) che prima aveva concesso a Vitale di rientrare in Puglia, ma poi aveva revocato il permesso, accogliendo le sollecitazioni del Dipartimento affari penali del ministero della Giustizia contrario al ritorno a casa di Vitale, sia pure limitato alla partecipazione alle esequie del fratello e al desiderio di pregare sulla sua tomba (ovviamente sotto scorta).
Secondo il Dap sussisteva, nel caso di Vitale, «il grave rischio per l’ordine pubblico e la sicurezza pubblica poiché la presenza del condannato in una pubblica cerimonia avrebbe creato turbamento propria nell’area geografica dove l’organizzazione criminale è più forte». La Corte di Cassazione ha accolto il ricorso dell’uomo condannato all’ergastolo per i reati della cosiddetta “quarta mafia”, la mafia pugliese. La sentenza, richiamando una legge del 1975, dà ragione a Vitale ritenendo “la morte di un fratello” come “evento familiare di particolare gravità” tale da consentire l’applicazione della norma e quindi “la concessione del permesso di necessità” perché il detenuto si unisca al dolore dei familiari e possa così pregare sulla tomba del congiunto. La Cassazione ha ritenuto questo un “fatto idoneo ad umanizzare la pena in espiazione ed a contribuire alla sua funzione rieducativa”.
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