L’arte contemporanea? "È una boiata pazzesca"

Quattro italiani su 10 confessano di non capirla. E dinanzi a una tela a pallini di Hirst protestano: "So farla anch’io..."

L’arte contemporanea? "È una boiata pazzesca"

Potremmo battezzarla Potionkin-Art. Tradotto: l’arte della «cagata pazzesca». Proprio come il «capolavoro» diretto da Sergej M. Ejzenštejn, che tanto piaceva al capufficio del ragionier Fantozzi.
Nel vernissage affaristico-globalizzato dell’arte contemporanea di corazzate Potionkin ne circolano tante, troppe. Per un artista che vale mille, ce ne sono almeno mille che valgono zero. E non sempre chi arriva al successo appartiene alla prima categoria. Anzi, ora padroneggiare la tecnica (essere cioè un bravo pittore nel senso più classico del termine) è visto quasi come un limite.
Ad andare forte è invece il concettuale: talmente concettuale che - come dimostra un sondaggio condotto da Focus Extra, la rivista Gruner+Jahr/Mondadori diretta da Sandro Boeri - 4 italiani su 10 non la capiscono.
Alla domanda «cosa pensi dell’arte contemporanea?», il 38% del campione la considera «un oggetto misterioso», anche se «ne è incuriosito e vorrebbe saperne di più». Tranchant il giudizio del 23%: «Non è vera arte».
Nello specifico, di fronte ad opere come quelle di Robert Ryman (che dipinge le tele solo di bianco), il 37% risponde «avrei potuto farle anch’io», mentre un altro 37% dice che «dovrebbe esserci qualcuno che me ne spieghi il significato»; solo per il 26% è «vera arte».
A proposito delle firme più provocatorie come Cattelan e Hirst, appena il 36% le ritiene «artisticamente valide»; i restanti si dividono tra chi pensa che «scioccare gli spettatori non è arte» (15%) e quelli secondo cui «far soldi in questo modo non è il mestiere degli artisti» (15%); per il 34% invece «suscitare emozioni di ribrezzo è fin troppo facile per considerare artista chi lo fa».
Nonostante le perplessità però, quasi la metà degli intervistati (il 48%) concorda nell’affermare che l’arte di oggi si basa più sull’idea che sulle abilità manuali di chi realizza l’opera, mentre il 77% giudica l’arte in base all’emozione che suscita anziché sulla capacità di descrivere la realtà.
Intanto i critici assicurano che dietro la Potionkin-Art si nascondono «capolavori» in grado di «rivalutarsi nel tempo», rappresentando «ottimi investimenti». Nella maggioranza dei casi sono solo promesse-tarocche, ma qualche volta i miracoli avvengono davvero. Accendere la candela davanti al santo giusto è però impresa quasi impossibile.
Willy Montini - che sta ai televenditori d’arte come Messì sta al calcio - durante la prima lezione ai corsisti che ambiscono a fare il suo stesso mestiere, aveva sulla scrivania il libro di Francesco Bonami, «Lo potevo fare anch’io» (Mondadori): «Leggetelo, capirete molte cose», ha raccomandato Montini ai suoi futuri colleghi.

Tutti, almeno una volta nella vita, davanti a un'opera d'arte contemporanea, abbiamo infatti pensato: lo posso fare anch'io.
Carlo Vanoni (altro televenditore d’arte di gran razza) nota, giustamente, che sarebbe più corretto dire: lo posso «rifare» anch’io.
E non è una differenza da poco.

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