Lo sapevamo, lo sapeva anche lui. Eppure la notizia arriva di mattino all'improvviso, con un video preparato ad arte in cui gli occhi lucidi di Rafa Nadal si confondono con le immagini di una vita, la sua, la nostra. Una vita da campione. Rafael Nadal Perero dice basta, 22 Slam e troppi, tanti, infortuni dopo. L'ultimo, il muscolo dell'anca per cui si è fatto operare, non ce lo ha mai restituito veramente, eppure la testardaggine di un maiorchino orgoglioso ha fatto sì che abbiamo potuto vederlo ancora, magnifico anche nella sconfitta contro Zverev che ha chiuso la sua grande storia al Roland Garros. Era il 27 maggio 2024, una data che resterà nella memoria. «Forse ci rivedremo», disse quel giorno. Non sarà così, Malaga sarà invece l'ultimo atto: «Mi piace poter finire con la finale di Coppa Davis, il trofeo che mi ha dato una delle mie più grande gioie, a Siviglia nel 2004».
Era arrivato allora, sedicenne, annunciato come un predestinato, capelli lunghi, magliette senza maniche e bragoni per cambiare la storia di un tennis che aveva appena conosciuto il suo nuovo cannibale, Roger Federer. Se ne va sposato, papà, con tanti dolori e una calvizie incipiente, con certezza di aver trasformato quel dominio in una storia appassionante, in cui i cannibali sono stati tre ma i veri rivali solo due, lui e Roger: «Speravo non arrivasse mai questo momento. È stato un onore, amico», ha scritto Federer tendendogli virtualmente la mano che Rafa gli ha tenuto a sua volta in lacrime il giorno in cui il mondo piangeva per la fine della carriera del Più Amato. Djokovic, prima o poi, se ne farà una ragione.
Sono stati anni di luce abbagliante e qualche ombra, quelli di Rafa, con quella tendenza a farsi male spesso e con l'Operacion Puerto che l'ha sfiorato. Si curava con delle iniezioni i dolori alle ginocchia dal medico più discusso della storia spagnola, ma nessuno ha mai potuto sapere la verità. Quella però è sempre stata negli occhi di Rafa e come si fa a non credergli, lui cresciuto a tennis e onestà, capace di vivere una vita da star senza mai staccarsi da Manacor, dalla sua isola di Maiorca, dai suoi amici. Ma soprattutto dalla sua famiglia, il suo guscio protettivo: papà Sebastiàn, mamma Ana Maria, la sorella Marìa Isabel. E poi Maria Francisca Perello, che tutti nominano come Xisca ma che lui nel video finale chiama affettuosamente Mery: «19 anni insieme, la compagna perfetta: tornare a casa e vedere come sta aiutando Rafa junior a crescere mi ha dato sempre più energia per non mollare». E poi Zio Toni, l'uomo che lo ha educato e poi allenato per anni (per poi lasciare il ruolo a Carlos Moya) spiegandogli che poteva considerarsi speciale solo quando era in campo, «perché fuori sei come tutti gli altri». E ancora Benito Perez Barbadillo, il suo manager, che lo ha sempre difeso da chi voleva trasformarlo in un fenomeno da show business, quando Rafa invece sognava dopo ogni torneo soltanto di tornare nella sua villa sull'Oceano a Puerto Cristo e alle giornate di pesca: «Tanti turisti vengono qui sull'isola, ma nessuno conosce veramente l'anima di questo posto». Lo disse, un giorno, davanti al nostro taccuino, sprofondato nel divano con vista sul suo paradiso personale, aggiungendo: «La mia vita non è solo tennis. Mi piace lo sport, sia da atleta che appassionato, ma è una parentesi. Un giorno terminerà. Ciò che conta è essere felice, e posso dire di esserlo». Lo è anche oggi, nonostante tutto.
Che cos'è stato, allora, Rafael Nadal? Sicuramente un modello di come dovrebbero essere lo sport e la competizione, un uomo andato sempre oltre la sofferenza e che ha insegnato come vincere sia bello ma che la sconfitta non è un dramma: «Puoi perdere perché il tuo avversario ha giocato meglio, ma non puoi perdere perché non hai dato il massimo». È stato anche un fastidio per chi amava Federer (un po' anche per Federer fino a quando è esplosa l'amicizia) e ha visto il suo idolo mancare due volte il Grande Slam a colpa di quello spagnolo imbattibile sulla terra rossa. È stato, proprio su quella superficie, irripetibile, e forse lo sarà per sempre: 14 titoli al Roland Garros, come lui nessuno mai, pazzesco.
Finisce qui, «è il momento giusto». Finisce anche con 4 titoli agli UsOpen, 2 a Wimbledon (epica la finale con Federer nel 2008), 2 agli Australian Open (incredibile la finale però persa con Djokovic nel 2012 dopo quasi 6 ore di gioco), 36 successi nei Masters 1000, 2 Atp Finals, un oro olimpico, un asteroide chiamato 128306 Rafaelnadal, una Fondazione che porta avanti progetti nei Paesi in via di sviluppo, e - soprattutto - un Accademia a Manacor che sarà ora il suo lavoro a tempo pieno.
E che insegna prima a vivere e, poi, a giocare a tennis, perché se non si studia con profitto le racchette restano nella sacca: «Che tu vinca o perda in un certo match può dipendere da piccole cose che a volte sono oltre il tuo controllo - è stato sempre il suo mantra -, ma sentire di essere davvero migliorato come giocatore quando scendi in campo e sapere che è il frutto di tutto il tuo lavoro di molti anni è una grande soddisfazione».Questo è, alla fine, Rafa Nadal, l'insegnamento che al futuro si devono mettere le basi, e che al momento giusto si deve saper salutare: Mil gracias a todos, ha detto. Mille grazie a te.
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