L'eco-follia Ue mette a rischio il nostro territorio

La Nature Restoration Law è un provvedimento che non tiene conto della specificità italiana, in particolare la ricostruzione post-sismica

L'eco-follia Ue mette a rischio il nostro territorio
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Dopo il voto per il rinnovo del Parlamento europeo, e durante le trattative per dare un nuovo governo all'Unione, continua la serie delle eco-follie, nonostante la bocciatura elettorale di quell'Europa ideologica e integralista.

La Nature Restoration Law, la legge che punta a imporre agli Stati membri di stabilire e attuare misure per restituire alla natura almeno il 20% delle aree terrestri dell'Ue entro il 2030 - a scapito delle aree agricole - è passata «a sorpresa» durante la riunione del Consiglio di ieri a Lussemburgo. Si tratta di un risultato per nulla scontato, inseguito e voluto da anni dagli ambientalisti più ferventi e più miopi.

Il regolamento sarà ora pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale dell'UE ed entrerà in vigore tra poche settimane. Non è una buona notizia per molta parte dell'Europa dove la natura si è sviluppata nei millenni attraverso una forte interazione con l'uomo e che ora sta subendo un progressivo abbandono del presidio territoriale.

È una pessima notizia per l'Italia e per quella parte del Paese dove è in corso il processo di ricostruzione più colossale del continente: un cantiere da 28 miliardi di euro, negli ottomila chilometri quadrati dell'Appennino centrale ferito dal sisma del 2016-2017.

La sequenza sismica di otto anni fa su un'area montana già fortemente spopolata ha causato un abbandono delle attività tradizionali che ha provocato una accelerazione dell'espansione di boschi non gestiti che hanno raggiunto il 70% della superficie, mentre le attività agricole e i pascoli sono in forte contrazione e i centri abitati coprono solo il 5% del territorio.

Imporre un abbandono delle attività agricole ancora più spinto, per lasciare il territorio alla natura «selvaggia», vuol dire esporre gran parte dei nostri territori a un crescente rischio idro-geologico. E vuol dire mettere le condizioni perché lo spopolamento delle aree interne si accentui.

Per chi sta lavorando, come nel mio caso, alla ricostruzione e alla rigenerazione di un territorio (138 Comuni distribuiti in quattro Regioni, con quasi 600mila residenti), sarebbe una follia mettere in sicurezza antisismica centri abitati in un contesto di abbandono e degrado che li esporrebbe agli eventi estremi causati dai cambiamenti climatici che, come è accaduto per le alluvioni dello scorso anno, vedono proprio nella biomassa non gestita (cioè il nuovo bosco «selvaggio») un fattore moltiplicatore degli effetti disastrosi.

Per gli obiettivi di decarbonizzazione l'Italia ha chiesto che si applichi una neutralità sulle tecnologie per raggiungerli, così anche per il ripristino della natura sarebbe logico chiedere di tenere conto delle specificità delle dinamiche uomo-natura che in Appennino, ma non solo, necessitano di un riequilibrio attraverso il rilancio di un'economia circolare che si basa sulle risorse naturali in modo da assicurare il presidio e il ripristino delle funzioni regolatrici degli usi del suolo.

È proprio quello che stiamo facendo con il «Laboratorio Appennino centrale» che abbiamo presentato sia alla COP28 di Dubai che al G7 Ambiente di Torino come modello per la lotta alla crisi climatica e demografica. La Nature Restoration Law è figlia di quell'ambientalismo tanto caro a molti Paesi del Nord Europa, dove gli insediamenti umani sono rarefatti e dove la natura «selvaggia» è solo un giacimento di risorse da saccheggiare con maggior o minor garbo. Alle nostre latitudini la natura è compagna dell'uomo, che grazie alle attività agricole ha moltiplicato e conservato una biodiversità unica e preziosa.

Speriamo che la nostra Europa possa cambiare e possa comprendere che un ecologismo senza l'uomo è una partita persa, oltre che innaturale.

* Senatore e commissario straordinario per la ricostruzione nell'Italia centrale

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