Il progetto di legge sull'omotransfobia è un'aberrazione dal punto di vista di almeno tre culture politiche diverse. Quella cattolica democratica, perché implicitamente mette in discussione molti punti della dottrina, come hanno giustamente lamentato i vescovi. Quella conservatrice, perché esso tende ad imporre un modello di società individualistica e disgregata, dove la tradizione è cancellata e persino combattuta. Per quanto noi si sia più vicini a quest'ultima cultura, crediamo però che anche quella liberale dovrebbe inorridire se questo progetto diventasse legge. Come ha del resto spiegato Silvio Berlusconi, specificando che una forza liberale deve opporvisi, proprio in nome della libertà. Dobbiamo infatti ricordare che la legge recante il nome del deputato Pd Zan poco o nulla riguarda la tutela degli omosessuali e dei trans. Essi, in quanto cittadini italiani uguali agli altri (e ci mancherebbe) sono già garantiti dal codice civile e da quello penale. Peraltro, sul piano dell'aggressione ai gay, il nostro paese registra cifre assai più basse che altri, in cui le comunità islamiche sono ben diffuse: a Ixelles in Belgio, ieri, sei ragazzi sono stati lapidati, fortunatamente non a morte, perché uno di loro «sembrava» gay, e lasciamo intuire chi fossero i lapidatori. Questo lo tengano a mente le associazioni Lgbt, sempre in prima linea per l'accoglienza. Quindi il progetto di legge Zan è del tutto inutile per difendere gli omosessuali. Ma allora perché premono tanto? Perché è la classica legge ideologica tanto cara ai progressisti; serve a legittimare e ad affermare un tipo di società nuova, in cui la famiglia non sarà più fondata sul rapporto tra un uomo e una donna, oltre ad investire la questione delle adozioni dei bambini e dell'utero in affitto. Se questa legge passasse, le associazioni Lgbt avrebbero pieno diritto a rivendicare questa forma di società, ma ne avrebbe molto meno chi invece la ritenesse una barbarie, perché rischierebbe l'accusa di omofobia. Si capisce quindi che la finalità della legge è perseguire le opinioni: non è emendabile, volendole togliere la parte «liberticida» non ne resterebbe più nulla perché il suo obiettivo è esattamente quello. Un liberale la deve combattere, proprio perché essa censura le opinioni. In linea con altre leggi che la sinistra nella precedente legislatura ha cercato di introdurre. Per affermare il modello progressista fondato sulla tirannia delle minoranze, bisogna infatti condizionare le maggioranze attraverso i media ma anche zittire coloro che si oppongono alla narrazione progressista. Il progetto si muove nel solco di analoghe leggi approvate in altri Paesi europei: anche quelli che impartiscono pompose lezioni di Stato di diritto a Ungheria e Polonia. Ma allora perché qualcuno, che pretende dirsi liberale, sostiene la legge? Perché, a partire dagli anni Sessanta, il liberalismo classico si è trasformato in qualcosa di diverso, e persino opposto: in libertarismo, cioè nell'idea che ognuno possa fare quello che gli garba senza rispettare i costumi sociali, le tradizioni, le eredità culturali, persino i dati biologici.
Per anni su queste colonne il filosofo Nicola Matteucci, uno dei maestri del liberalismo italiano, ha insistito che esso sarebbe morto se fosse diventata una dottrina dei diritti a discapito dei doveri. A coloro che ancora si dicono liberali spetta cercare di salvarlo, anche impedendo a una legge censoria ed autoritaria di nascere.
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