Parla all'Huffington Post e racconta del suo lavoro e di come ha raccontato i grandi casi casi della cronaca italiana, con uno studio certosino delle carte processuali, "fin dagli interrogatori preliminari, condotti dal pubblico ministero e dai carabinieri", in cui spesso "si delinea il contesto di una vicenda, colgo dei dettagli capaci di restituire la realtà di un personaggio".
Così lavora Franca Leosini, di fronte a cui sono passati personaggi come Pietro Pacciani, Rudy Guede o Luca Varani e che ha portato due milioni di persone a rimanere incollate alla televisione per la prima e la seconda puntata della sua ultima stagione di storie, in onda su RaiTre.
"Storie maledette", perché le persone che racconta "non sono professioniste del crimine, ma sono delle persone che avevano una normale quotidianità prima che, senza che nulla lo facesse presagire, uccidessero, cadendo, come dico io, nel vuoto di una maledetta storia". Senza porsi come un giudice, ma piuttosto chiedendosi come l'esistenza di qualcuno possa essere cambiata all'improvviso.
"C'è una porzione di malvagità in ciascuno di noi - dice la Leosini -. Poi, la cultura, l'ambiente in cui cresciamo, la consapevolezza di noi stessi, ci rendono capaci di gestirla".
Dai crimini si può leggere molto della nostra società: "Uccidere i genitori è ancora una prerogativa del nord, per esempio: penso alle storie di Pietro Masi, oppure di Erika e Omar.
Al sud, invece, per quanto ferocissimi possano essere i ragazzi che fanno le paranze a Napoli, nessuno si permette di rivolgere l'arma contro una madre e una padre".C'è una parola che la Leosini detesta, ed è "femminicidio". "La donna è una persona e ridurne l'assassinio in questo termine così ristretto è quasi offensivo".
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