Una donna piena di contraddizioni, uno spirito libero, un esempio per tutti. Lina Wertmüller ha tracciato un solco nella storia del cinema per tanti motivi. In primis la sua unicità. Prima donna nella storia del cinema a ricevere una nomination all’Oscar come miglior regista, la cineasta capitolina scomparsa nel dicembre 2021 ha scritto pagine importanti della settima arte e nel 2020 ha ottenuto il meritato Oscar alla carriera. Un traguardo eccezionale, che ha reso il giusto onore alla sua straordinaria filmografia.
L’esordio folgorante e la svolta immediata
Una delle grandi qualità di Lina Wertmüller è stata la sua personalità travolgente. Sia da bambina – cacciata da undici scuole – che in età adulta, ha sempre affrontato la vita con carattere e senza peli sulla lingua, con il fare della decisionista. Romana, ma discendente da una nobile famiglia svizzera (Arcangela Felice Assunta Job Wertmüller von Elgg Esapañol von Brauchich il nome completo), la Wertmüller iniziò la sua carriera dividendosi tra la commedia musicale con Garinei e Giovannini e il teatro drammatico con Giorgio De Lullo. Esperienze fondamentali per la sua formazione.
L’anima leggera e l’anima impegnata hanno sempre convissuto. Per questo motivo Lina Wertmüller è sempre riuscita a pianificare la leggerezza con grande attenzione. Il suo film d’esordio, “I basilischi”, è tra le opere più importanti della sua filmografia. Affiancata da gran parte della troupe dell’amico-maestro Federico Fellini, la regista ha dipinto un ritratto ammaliante del Meridione, tra realismo e sublimazione, tra pregi e difetti. Riflettori accesi sulle contraddizioni, sempre.
“I basilischi” ottenne un successo incredibile – vinse il Festival di Locarno e altri quattordici premi in giro per il mondo – convincendo critica e pubblico. Ma l’etichetta di regista impegnata non era massimo delle sue aspirazioni. La Wertmüller ha sempre considerato la regia un’avventura sempre nuova. “Il divertimento è più importante del successo”, il suo mantra. Ed ecco la prima svolta.
Partire dalla realtà per poi deformarla
Per navigare in un mare libero, Lina Wertmüller optò per un colpo di coda: appuntamento alla Rai per proporsi alla direzione de “Il giornalino di Gian Burrasca”. Una serie tv che regalò una Rita Pavone inedita e che raccolse un successo incredibile, fuori da ogni aspettativa. Dopo qualche lungometraggio di buona ma non eccellente fattura, la regista dagli occhialetti bianchi (se ne fece fabbricare 5 mila, tutti dello stesso modello) cambiò definitivamente marcia con “Mimì metallurgico ferito nell'onore”.
Un film che segnò l’inizio della fortunata collaborazione con Giancarlo Giannini e con Mariangela Melato, all’epoca poco noti. Fin troppo, secondo alcuni produttori. Ma la Wertmüller tirò dritto, senza guardare in faccia nessuno. Da “Film d’amore e d’anarchia – Ovvero ‘Stamattina alle 10 in via dei fiori nella nota casa di tolleranza…’” a “Travolti da un insolito destino nell’azzurro mare d’agosto”, una serie di lungometraggi dai titoli chilometrici allo stesso tempo divertenti, strazianti, esagerati, fortemente popolari.
Come molti altri colleghi, Lina Wertmüller è sempre partita dalla realtà. Ma non si è fermata alla semplice realtà: l’ha reinventata, rielaborata, deformata. Fino a raggiungere il grottesco, tra vizi e virtù, tra ambizioni e desideri, tra bramosia e fallimenti. Sempre interessata alla politica delle relazioni uomo-donna, così come al confronto tra classi alte e classi basse, la regista non si è mai adagiata sulla teoria. La pratica ha vinto sempre, l’umanità ha costantemente avuto la meglio sulla filosofia.
La conquista di Hollywood
Il cinema di Lina Wertmüller ha sempre descritto con precisione il presente, recando in sé anche un germe del futuro. Una filmografia profetica, per certi versi, ma sempre invasa dall’ironia e dallo scherno. “Pasqualino Settebellezze” rappresenta lo zenit del cinema di Lina Wertmüller e non solo per il grande successo riscontrato in America. È vero, è questo film ad aver collezionato quattro storiche candidature agli Oscar (miglior regia, miglior film straniero, migliore sceneggiatura e migliore attore protagonista). Ma c’è qualcosa che va oltre. La Wertmüller ha avuto il fegato di raccontare il nazismo con comicità. Un rischio incredibile, senza precedenti.
Una scommessa rischiosa, in grado di stroncare una carriera, ma vinta, anzi stravinta. Un grande lavoro di scrittura cinematografica, frutto della sua particolare visione artistica, tale da rendere un monologo avvincente quanto un dialogo. Anche dal punto di vista dell’immagine, delle inquadrature e del montaggio, la Wertmüller non ha mai sfigurato. Anzi ha creato un linguaggio visivo inimitabile, diverso da quello di Fellini, Antonioni e Leone.
Lina Wertmüller, sinonimo di coraggio
“Pasqualino Settebellezze” è stato un progetto particolarmente audace, ma del resto il coraggio a Lina Wertmüller non è mai mancato. Gli esempi sono tanti. Nel 1974, per “Tutto a posto e niente in ordine”, puntò su attori giovani e sconosciuti, sfidando il cinema del tempo che si reggeva sui grandi nomi. Nel 1992, invece, per “Io speriamo che me la cavo”, sdoganò un Paolo Villaggio inedito. Addio a Fantozzi, al comico irresistibile. Un’altra grande caratteristica della Wertmüller regista infatti è stata la capacità di plasmare i suoi attori, basti pensare alle trasformazioni di una diva come Sophia Loren.
E lei non ha mai guardato in faccia nessuno. Non ha mai invocato favoritismi, non ha mai ricercato il facile consenso. Nessuna distinzione tra maschi e femmine, anzi, la priorità al merito: “Non si può fare questo lavoro perché si è uomo o perché si è donna. Lo si fa perché si ha talento. Questa è l'unica cosa che conta per me e dovrebbe essere l'unico parametro con cui valutare a chi assegnare la regia di un film”. Anche senza quote rosa è possibile emergere, dimostrare, entrare nell'Olimpo.
Un grande, grandissimo esempio per tutti. Anche di libertà. Lina Wertmüller è stata disposta a tutto pur i salvaguardare l’integrità artistica. Non è da tutti rifiutare un milione di dollari per girare un film – “Caligola” – perché scritto da un’altra persona. Così come non è da tutti rispedire al mittente la proposta di dirigere “Caterina di tutte le Russie”, con tanto di no secco a un assegno da 2 milioni di dollari.
“Sono andata dritta per la mia strada, scegliendo sempre di fare quello che mi piaceva”, disse in una delle sue ultime interviste. La storia le ha dato ragione. E la storia del cinema parlerà di lei, per sempre.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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