L'informazione a costo zero e le sue bugie

Curiosa questa cosa di una legge contro le fake news (in italiano, notizie false). Bizzarra perché le notizie hanno già una loro distinguibile credibilità: basta attingere ai professionisti dell'informazione

L'informazione a costo zero e le sue bugie

Curiosa questa cosa di una legge contro le fake news (in italiano, notizie false). Bizzarra perché le notizie hanno già una loro distinguibile credibilità: basta attingere ai professionisti dell'informazione. Ebbene sì, loro. Cioè noi: i giornalisti professionisti.

A cosa serve una legge? È che sembra si sia dimenticato che il giornalismo è una professione, per esercitare la quale bisogna anche superare un esame pubblico. Il metodo non è diverso da altre professioni, come l'avvocato o il medico. C'è molta gente disposta a farsi curare da qualcuno che non sia laureato in medicina? Chi, invece, si farebbe difendere in una causa penale da un bravo blogger, che però non abbia mai ottenuto una laurea in legge? Eppure c'è la pretesa di informarsi dove capita. Ovvio che comporti dei rischi. È come comprare una borsa di Hermès sotto i portici della stazione: facile che sia un fake. E molto difficile potersene poi lamentare. O prendere un aereo guidato da uno che non abbia la licenza o la patente da pilota: lo fanno in tanti?

Non è un caso che il reato per l'«abusivo esercizio della professione» esista già e sia perseguito regolarmente. Ma non si può pretendere di tutelare i boccaloni dalle false notizie se queste sono diffuse da organi non giornalistici e per di più gratuiti. È una questione di buon senso che non può certo essere regolata per legge. Le fake news sono sempre esistite, ed è sempre stato molto facile scoprirle presto. Oggi si sono moltiplicate semplicemente perché in tanti pensano che un post su Facebook con molti like sia più autorevole di una testata giornalistica, su internet o in edicola. Non lo è, è solo gratis rispetto a tanti siti d'informazione oppure alla carta, che invece costa 1,5 o 2 euro.

Eh sì, perché poi c'è anche questo piccolo problema: i professionisti dell'informazione bisogna pagarli. Un po' come l'avvocato o il medico di cui sopra. Ma anche l'architetto piuttosto che l'agente immobiliare. Sembra invece che no, il giornalista non lo pago proprio, l'informazione a pagamento non serve perché c'è quella gratis. Ottimo. Ma torniamo alla borsa di Hermes: pretendere che poi le notizie siano anche vere pare un po' troppo, no?

Dietro un'informazione professionale, tra l'altro, ci sono anche le garanzie contro le stesse fake news. Perché le corbellerie, sia chiaro, le possono scrivere tutti, prima o poi. Anche i professionisti dell'informazione. Ma questi, a differenza di chi si improvvisa reporter, se sbagliano, pagano. Ci sono fior di norme che prevedono sanzioni civili e reati penali a carico dei giornalisti. A ulteriore conferma che attingere le informazioni da loro sia di per sé una garanzia di qualità.

Tutto ciò non ci salva dalle fake news, che continueranno a esistere, né ci ha mai salvato. Né lo potrebbe fare una legge ad hoc: bastano e avanzano quelle che ci sono. Ma finiamola con l'illusione di un mondo dove l'informazione è gratuita: non lo è in ogni caso, c'è sempre qualcuno che paga e qualcuno che guadagna. La differenza è che se si lascia ai giganti del web e delle telecomunicazioni l'oligopolio dei nostri bisogni, compresa l'informazione, anche questa finirà sotto il loro controllo. Più o meno diretto, più o meno stretto.

Per questo, per salvare le news dal virus delle fake news non servono

punizioni esemplari. Bisogna piuttosto occuparsi dei meccanismi economici, fiscali e finanziari che regolano i colossi della rete, e creare le condizioni di mercato che rendano l'informazione di qualità un bene di valore.

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