Quindi adesso una delle due capitali dell'Occidente ha un sindaco musulmano. La città è Londra, lui è Sadiq Khan, eletto ieri. Figlio di un autista di bus immigrato dal Pakistan, avvocato, laburista, non blairiano, ma neanche corbyniano. È un volto, è una storia, è anche un esperimento. Perché è la prima volta in assoluto che una capitale delle 28 dell'Unione Europea sarà amministrata da un cittadino musulmano. Chi si preoccupa per questo sbaglia, almeno all'apparenza. Se c'è una speranza che esista un islam moderato, un islam politico, un islam democratico, bisogna seguire attentamente che cosa farà Khan da oggi in poi. Perché è il ritratto di un uomo politicamente laico, il che lo rende diverso da ciò che l'immagine delle comunità islamiche in Europa hanno dato in questi anni di tensioni politico-religiose.
La sua storia è fatta di sovrapposizioni culturali, di identità mescolate, di una voglia oggettiva di essere britannico, libero e appunto laico, di un'emancipazione tramite studi e lavoro che fa molto etica protestante, come hanno scritto di lui in questi giorni. Cresciuto con sette fratelli e sorelle in una casa popolare di Londra, ha lavorato come newspaper boy per mantenersi gli studi. Si racconta che abbia scelto di iscriversi a Legge perché gli piaceva il telefilm «Avvocati a Los Angeles», il che contribuisce a creare la storia di un uomo la cui fede è soltanto un dettaglio. E non è una costruzione. Perché guardando il suo programma si possono non condividere molte cose, ma succede perché sono troppo di sinistra, non perché lui sia islamico. La religione sta fuori, tanto che ostenta posizioni che sono ostili alla tradizione musulmana: è a favore delle nozze omosessuali, è dichiaratamente femminista.
L'essere pro-gay gli ha fatto avere una fatwa da un imam di Bradford: a differenza di quella di Salman Rushdie, si trattava di una semplice scomunica, non di una condanna a morte, ma la polizia ritenne opportuno dargli per un periodo la scorta. Ha avuto in famiglia una storia di estremismo: sua sorella Farhat è stata sposata con Makbool Javaid, un avvocato che negli anni Novanta ha preso parte a comizi sul ritorno di uno Stato islamico, ben prima che nascesse l'Isis. Lui si dissociò subito prendendone le distanze anche personalmente. Candidandosi, Khan aveva dichiarato che eleggere un sindaco islamico avrebbe mandato «un messaggio agli hater»: dove per odiatori intendeva proprio l'Isis. Questo gli ha garantito credibilità, aumentata dopo aver avuto un battibecco con l'ex sindaco di Londra ultralaburista Ken Livingstone. La debolezza del candidato conservatore Zac Goldsmith l'ha aiutato a essere eletto. E gli ha permesso di poter raccontare la sua storia a un pubblico che oggi non è più solo quello di Londra.
Lo guarda il mondo, perché governare Londra vale economicamente quanto governare uno Stato del G20. Politicamente vale anche di più. E anche senza volerlo Khan ha una responsabilità enorme: convincerci che una vera convivenza sia davvero possibile.
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