Il luna park delle leggi elettorali

Il primo turno delle elezioni comunali, almeno a livello di capoluoghi di provincia, si è chiuso con un 4 a 2 in favore del centrodestra

Il luna park delle leggi elettorali
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Il primo turno delle elezioni comunali, almeno a livello di capoluoghi di provincia, si è chiuso con un 4 a 2 in favore del centrodestra. Ora la sinistra immagina di ribaltare il risultato nel ballottaggio che si svolgerà tra due settimane nei sette capoluoghi, oltreché nei Comuni restanti, in cui nessun candidato ha raggiunto il 51%. La speranza è che l'alleanza che Pd e grillini non sono riusciti a trovare su un candidato e su un programma si formi nel secondo turno come reazione automatica al rischio che vinca il centrodestra. Si dovrebbe creare, insomma, un fronte comune anche se in quelle città i rossi e i gialli non sono stati capaci di stipulare uno straccio d'accordo.

Tutto legittimo, ovviamente, e per alcuni versi spiegabile. Detto ciò sarebbe però opportuna una riflessione pacata su come i sistemi elettorali nel nostro Paese non aiutino i processi politici, dalle alleanze consapevoli alle fusioni tra i partiti, ma addirittura li ostacolino. A prima vista può sembrare un discorso astratto ma in realtà non è così. In Italia la democrazia è regolata con una fiera di leggi elettorali diverse che cambiano a seconda dell'organismo da eleggere: proporzionale con soglia di sbarramento al 4% per il Parlamento europeo; sistema misto proporzionale- maggioritario denominato rosatellum per il Parlamento nazionale; sistema maggioritario a turno unico con premio di maggioranza per le Regioni; maggioritario con premio e, nel caso nessun candidato raggiungesse il 51% nel primo turno, ballottaggio per i Comuni. Senza contare che ogni Regione può farsi la sua legge elettorale.

Sull'onda delle stagioni politiche, e delle convenienze di parte del momento, si è dato vita a un mosaico di sistemi che, ovviamente, condizionano non sempre al meglio le tattiche e le strategie dei partiti. Il risultato è che invece di semplificare il panorama politico lo si è complicato: ci sono partiti e movimenti che sono finalizzati solo ad una determinata scadenza elettorale. Addirittura assistiamo al paradosso tutto italiano che c'erano meno partiti nella Prima Repubblica, che aveva nel suo Dna il sistema proporzionale, che nella Seconda che è nata nel segno del maggioritario. Una contraddizione in termini.

Tanto più che gli atteggiamenti dei partiti cambiano a seconda della scadenza elettorale che debbono affrontare in quel momento. Mentre il centrodestra è diventato un'alleanza stabile e omogenea, a sinistra gli elementi identitari sono diventati prevalenti: alle comunali ci si affida al doppio turno; poi si aspettano le europee dove si va con il proporzionale; poi si tentano alleanze alle regionali e ci si ridivide alle politiche sempreché non si opti per un variegato fronte unico che si compatta su un «nemico» più che su una proposta politica.

Per evitare questo pandemonio sarebbe il caso di omogenizzare un minimo questo luna park di sistemi che gestisce la nostra democrazia.

Mettere troppa carne al fuoco non aiuta certo, ma dalla Seconda Repubblica nel nostro strano Paese le forme di governo e i soggetti politici sono stati determinati dalle leggi elettorali. Visto che è stato nuovamente aperto il cantiere delle riforme istituzionali sarebbe il caso questa volta di fare l'esatto contrario.

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