L'unico neo

Il 2021 è stato l'annus horribilis della giustizia italiana. Ma il discorso finale del Presidente su questo argomento è stato monco

L'unico neo

È stato un addio accorato quello con cui la sera del 31 dicembre Sergio Mattarella si è congedato dagli italiani. Perché di un vero addio si tratta, nel rispetto dei precetti costituzionali e di un'interpretazione rigorosa della Carta propria dell'attuale Capo dello Stato, che non lascia margini ai teorici del «bis». Un discorso pieno di umanità, con una particolare attenzione ai giovani e con un appello alla responsabilità e all'unità del Paese di fronte alle tante emergenze. Ha toccato tanti punti con una retorica spesso sobria. Si può dire tutti, meno uno: la giustizia. Ecco se c'è un neo nell'ultimo discorso del Presidente è quello di non aver speso una parola su una delle questioni più importanti che affliggono il nostro Paese come non manca mai di rammentarci l'Europa, quella riforma della giustizia sulla quale presto gli italiani saranno chiamati a dare il loro contributo con i referendum promossi dalla Lega e dai radicali.

E qualcosa, diciamoci la verità, l'avrebbe potuta dire visto che Mattarella ha ricoperto da Capo dello Stato anche la carica di Presidente del Consiglio Superiore della Magistratura in un periodo in cui la giustizia italiana è stata scossa dalle rivelazioni dell'ex magistrato Luca Palamara, che hanno lambito addirittura un ex procuratore generale della Cassazione; dalle vicende che hanno messo sul banco degli imputati Piercamillo Davigo, fino a qualche mese fa considerato un mostro sacro nelle aule dei tribunali; dall'operato sconsiderato di due Pm milanesi nel processo sulle tangenti Eni in Nigeria; dalle ombre che incombono sempre più sulle toghe che hanno indagato sul supposto suicidio di David Rossi e il Monte dei Paschi di Siena; per non parlare degli innumerevoli scontri tra politici e magistrati che fanno nascere dubbi sulla reale imparzialità del nostro sistema giudiziario. Si potrebbe andare molto avanti negli esempi e negli episodi per dimostrare che il 2021 è stato l'annus horribilis della giustizia italiana.

Ecco perché il discorso finale del Presidente su questo argomento è stato monco. E testimonia, purtroppo, una carenza del suo settennato. Perché un Capo dello Stato, dall'alto del suo magistero, deve avere un ruolo di mediazione nei rapporti tra politica e giustizia, deve svolgere un'azione di compensazione per fissare gli equilibri Costituzionali tra Poteri ed esserne il Garante. In caso contrario rischia di abdicare ad una delle sue funzioni e di assistere come inerme testimone allo scontro virulento che da anni imperversa su questo argomento nelle nostre istituzioni e nel Paese. E proprio per l'autorevolezza che Mattarella è riuscito a dimostrare negli altri campi del suo operato, per la fiducia che è riuscito a conquistare presso l'opinione pubblica, questa - con tutto il rispetto - è stata un'occasione sprecata.

Nel suo discorso il Capo dello Stato ha ricordato giustamente e in maniera efficace e ineccepibile la lettera ai giovani del professor Pietro Carmina, deceduto nel crollo di Ravanusa, per esortarli a non essere indifferenti, ad osare.

Avrebbe, però, anche potuto dedicare un accenno, sia pure brevissimo, impalpabile, alla lettera con cui l'ex assessore regionale piemontese, Angelo Burzi, ha motivato il suo gesto estremo, il suicidio, come ribellione ad una sentenza ingiusta al termine di un calvario giudiziario durato più di dieci anni. Sarebbe stato un segnale, magari piccolo, ma che avrebbe colmato un grande vuoto.

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